TRIGGER POINT: LA GUIDA COMPLETA – FORMATIVE ZONE
I Trigger Point o Punti Trigger sono punti sensibili nei tessuti molli, e viene identificata come “myofascial pain syndrome” o tradotto “sindrome del dolore miofasciale”. Di solito sono descritti come micro-crampi , ma la scienza è divisa a metà e la loro natura è controversa. Indipendentemente da ciò, questi punti dolenti sono molto comuni come brufoli, spesso in modo allarmante, e sembrano crescere come le erbacce intorno lesioni. Essi possono essere un fattore importante nel dolore alla schiena e al collo, come causa e/o complicazione.
Cosa sono i Punti Trigger (PT)?
La dizione “Trigger Points” fu introdotta da Janet Travell (1901-1997) nel 1952, benche’ il concetto fosse noto da almeno un secolo in ambienti medici “ufficiali” anche se in maniera piu’ vaga. Ma crediamo di poter affermare che il concetto era comunque noto nella medicina tradizionale di sempre anche se ovviamente non nei dettagli scientifici cosi’ accuratamente descritti e sistematizzati da Janet Travell, studiosa di eccezione che fra l’altro fu anche medico personale di J. F. Kennedy e medico ufficiale della Casa Bianca durante le amministrazioni Kennedy e Johnson. La Travell dedico’ la sua intera carriera allo studio dei Punti Trigger, che da ora in poi saranno semplicemente scritti PT. Inizialmente specialista cardiopolmonare, Janet Travell si accorse che 1) il dolore era la principale lamentela dei suoi pazienti e che 2) la principale causa di dolore era di natura miofasciale e in particolare muscolare. Questo indipendentemente dalla diagnosi della malattia del paziente. Quindi si puo’ affermare che J. Travell mise a fuoco la fondamentale preponderanza dell’apparato muscolare come causa della stragrande maggioranza delle sindromi dolorose nei pazienti. La sua ricerca costituisce al tempo stesso una critica alla medicina accademica la quale si e’ andata sempre piu’ specializzando e tecnologizzando ma al tempo stesso ha colpevolmente ignorato il sistema muscolare a tale punto che non esiste, fra tutte le specializzazioni mediche, quella di “specialista dei muscoli”!
Dedicandosi oramai a tempo pieno allo studio delle sindromi miofasciali, la Travell in seguito coadiuvata dal medico David Simons, mise a fuoco il concetto cruciale della sindrome dolorosa muscolare definendo un ente che chiamo’ “Myofascial Trigger Point” (Travell J, Rinzler SH: The Myofascial Genesis of Pain. Postgrad Med 11:425-434, 1952). In italiano, preferiamo lasciare la parola “trigger” invece di tradurla perche’ mentre e’ vero che trigger si puo’ tradurre con “grilletto”, trigger ha anche il significato piu’ generico di elemento o azione che attiva o innesca una reazione automatica spesso di proporzioni molto maggiori della forza che la ha innescata, per cui il significato della parola “trigger” e’ piu vasto di quello del termine italiano “grilletto”. La scoperta della Travell fu quindi quella di individuare e di descrivere i Punti Trigger (PT) come entita’ muscolari dalle caratteristiche precise. Piu’ in generale poi vi sono punti trigger extra muscolari, in particolare PT fasciali che causano simili sindromi dolorose. Tuttavia tali altre varieta’ di PT sembrano meno facilmente catalogabili e attualmente la loro comprensione non e’ cosi’ avanzata come nel caso dei PT muscolari.
I Trigger Point, presentano determinate caratteristiche:
- punto dolente nel tessuto muscolare o nella fascia, non causata da un trauma acuto, infiammazione, degenerazione, neoplasia e infezioni;
- il dolore può essere riferito ad un nodulo o a tutta la bandelletta contratta e può generare una “local twitch response”, ossia una contrazione involontaria provocata dalla stimolazione del punto trigger;
- la palpazione del dolore riproduce la sensazione di dolore del paziente, che può essere riferito in alcune zone tipiche di riferimento per ogni trigger point;
- il dolore non può essere spiegato da una valutazione neurologica.
Alcuni autori fanno delle distinzioni tra i punti dolenti localmente che generano dolore localmente, chiamati Tender Point, e quelli che invece generano dolore riferito in una particolare mappa, descritta da Travell e Simons, sono chiamati Trigger Point.
I Trigger Point, a loro volta, possono essere distinti in attivi e latenti.
Un Trigger Point attivo genera dolore riferito senza la stimolazione diretta del trigger point. Per esempio, una persona potrebbe avere un dolore in zona cranio-oculare a causa della presenza di un trigger point attivo nel trapezio superiore. Non provocherà dolore diretto nel trigger point ma solo riferito, lo stesso dolore verrà provocato quando il terapista stimolerà il punto trigger ed il paziente percepirà quindi il suo dolore tipico di quella determinata zona.
Un Trigger Point latente, invece, è asintomatico poichè non provoca dolore nè localmente nè riferito, il dolore riferito sarà avvertito dal paziente solamente quando il terapista stimolerà il trigger point. I sintomi del Trigger Point latenti stimolati sono gli stessi dei Trigger Point attivi.
E’ evidente quindi che un trigger point attivo può dare delle limitazioni delle attività e della partecipazione, quindi la persona cercherà l’accesso alle cure poichè lo limita nella sua vita quotidiana. Un trigger point latente, non provocando sintomi, non darà al paziente la necessità immediata di accedere alle cure.
Una parziale definizione sintetica formulata dalla Travell del PT e’: area localizzata estremamente irritabile e dolorosa in un nodulo in un fascio teso di tessuto muscolare. Dal momento che ci siamo posti in un’ottica pratica e empirica, si consiglia di memorizzare tale definizione sia pure incompleta perche’ ci permettera’ di giungere ad una formula che rendera’ possibile identificare, e quindi trattare, i PT, anche senza necessariamente dover memorizzare le svariate centinaia di muscoli del corpo umano (650-850 a seconda delle classificazioni) e quindi le migliaia di PT possibili. E’ quindi desiderabile formulare un criterio sintetico per la individuazione e il trattamento dei PT sulla base di pochi concetti basilari e della semplice ispezione manuale. Soffermiamoci allora per un attimo sulla definizione parziale di cui sopra. Si allude ad un nodulo, ad un fascio teso di fibre, e ad un’area localizzata e dolorante nel nodulo.
Quindi ai fini della ispezione manuale di un muscolo, si cerchera’ un “grappolo” di cellule muscolari che si trovino in uno stato di tensione abnorme, che ci dara’ spesso l’impressione di una corda tesa. Lungo questa “corda”, si cerchera’ poi di individuare dei noduli di piccole dimensioni e di consistenza ancora piu’ rigida del fascio teso (se cosi’ non fosse non sarebe possibile differenziarli dal fascio teso). A questo punto, una volta trovato il nodulo, si e’ praticamente trovato il PT che pero’ occupa uno spazio ancora piu’ piccolo in quanto e’ una area localizzata all’interno del nodulo stesso. Appare quindi chiaro che seguendo questo metodo si possono individuare PT in qualsiasi muscolo senza necessariamente dover imparare a memoria i nomi e le forme degli ottocento e piu’ muscoli del corpo umano. Tutto cio’ che occorre e’ sviluppare una adeguata sensibilita’ tattile.
La definizione data sopra e’ pero’ da considerarsi parziale ai fini pratici e va ampliata introducendo i concetti di dolore riconosciuto e di dolore riferito.
L’applicazione di pressione al PT infatti genera un dolore che il soggetto riconosce come familiare e gia’ provato o in forma attuale o in forma di evento del passato. Inltre in molti casi il dolore in questione emerge ad una certa distanza dal PT coinvolto. Infatti una caratteristica di molti (ma non tutti) i PT e’ quella di causare dolore in aree localizzate ad una certa distanza dal PT stesso. Ora pero’ siccome alcuni PT non obbediscono questa regola del dolore riferito, allora tale dolore riferito non puo’ costituire condizione necessaria perche’ un nodulo muscolare sia un PT, tuttavia la preponderanza del dolore riferito nelle sindromi da PT ci fa ritenere opportuno sottolineare che qualora un nodulo muscolare causi dolore riferito altrove a seguito di pressione, allora si potra’ ritenere di essere alle prese con un vero PT. Per esempio, se comprimendo il Peroneo prossimale appena al di sotto del ginocchio, si genera dolore nella zona del malleolo esterno, allora si potra’ affermare senz’altro di trovarsi alle prese con un PT . Vedi immagine dove la x corrisponde al PT e l’area grigia intorno al malleolo corrisponde al dolore riferito. Il caso in questione e’ tipico delle “storte” alla caviglia che continuano a presentare dolore anche molto tempo dopo il trauma, il dolore residuo essendo perpetuato dal PT del peroneo.
Trattamento dei Trigger Point
Il trattamento dei trigger point miofasciali non si discosta molto da quello delle contratture muscolari. Come abbiamo già detto nell’articolo dedicato alle contratture muscolari un trigger point è un punto sottoposto ad ischemia locale ed ipossia e dovremo quindi assumere tutti quegli atteggiamenti che ci permettano di favorire l’afflusso di sangue e quindi l’ossigenazione del tessuto.
Compressione Ischemica. E’ una tecnica utilizzata poichè, provocando un’ischemia localizzata, favorisce una iperemia reattiva successiva (aumento del flusso sanguigno), aumentando quindi la circolazione di sangue nei tessuti ed ossigenandoli. Non è facile fare tutto questo autonomamente, è vivamente consigliato di affidarsi a dei fisioterapisti qualificati laureati (chiedi di farti mostrare la laurea dalla persona a cui ti affidi, saranno molto felici), anche per un discorso di sicurezze assicurative, in caso di danno solo un professionista sanitario può essere coperto e risarcirti. Dopo che il fisioterapista ha individuato la banda tesa, tiene premuto il punto, andando a ricercare una ischemia temporanea nella zona, continuando fino a che il dolore non si riduce in modo soddisfacente. Tale manovra si può riproporre altre 2-3 volte al fine di insistere maggiormente sull’area, e al termine si ripete il test per vedere se c’è stato un cambiamento nella sintomatologia.
Tecnica dello Stretch and Spray. Individuato il muscolo disfunzionale, si pone il muscolo in allungamento, e una volta raggiunto il massimo grado di allungamento si passa per qualche secondo uno spray freddo (ghiaccio spray). Al termine si riporta dolcemente in accorciamento. Va eseguita molto bene, e sopratutto deve essere chiaro al terapista come allungare il muscolo senza provocare dolore e quindi necessita di un esame approfondito per considerare al meglio come trattare la disfunzione con questa tecnica.
Tecniche di energia muscolare. Possono essere utilizzate tecniche muscolari come l’Hold and Relax, che si basano nel contrarre il muscolo interessato dal trigger point e successivamente sfruttare il rilassamento post contrazione per portare il muscolo in allungamento. Il rilassamento successivo alla contrazione dovrebbe permettere lo scioglimento dei punti contratti.
Terapia miofasciale con strumenti IAstm. Esistono sul mercato tanti strumenti con forme diverse, superfici differenti, che hanno lo scopo di mobilizzare la fascia, alleggerire lo sforzo del terapista e permettere la compressione ischemica in maniera più incisiva e profonda.
Dry needling. Tecnica che prevede l’inserimento di un ago sottilissimo (simile a quello dell’agopuntura), con l’obiettivo di colpire la banda fibrosa contratta, creare infiammazione localizzata che ne aumenterà il flusso sanguigno e l’ossigenazione dei tessuti per stimolare lo scioglimento del punto trigger. Non è dolorosa, ma attualmente è praticabile in Italia solo da personale medico.
Foam roller. Importata come strumento fitness dagli Stati Uniti, parliamo di un cilindro compatto, con uno strato gommoso come rivestimento. In commercio si trovano Foam Roller con superfici anche particolari, che hanno come obiettivo di utilizzo, un automassaggio su una determinata area, lavorando non sulla qualità, ovvero sul singolo punto, ma lavorando globalmente, sperando quindi di dare un movimento al tessuto connettivo e automassaggiare la muscolatura. Usato in maniera assidua e dopo un allenamento ha parecchi evidenze positive, e anzi va inteso come un ottimo compendio da dare al paziente a casa.
Attività aerobica. Può essere utile inoltre svolgere della blanda attività aerobica coadiuvata da degli esercizi di stretching per allungare la muscolatura. Attenzione però che un allungamento di una struttura contratta potrebbe peggiorare il suo stato di contrazione perchè spesso è sensibilizzata al riflesso di stiramento e prima di porre un muscolo in allungamento potrebbe essere utile risolvere la contrattura manualmente.
Come si è dimostrato, anche nella letteratura scientifica, molte patologie che vengono diagnosticate sulla base anche di esami strumentali, non è detto che siano realmente correttamente inquadrate, e forse spesso gli insuccessi, sono proprio legati al fatto che si tratta una zona di dolore senza andare a verificare se sono presenti trigger point in altre aree, che potrebbero loro stessi essere responsabili del dolore riferito dal paziente. Sarà quindi cura del Fisioterapista che conosce e pratica questo tipo di terapia integrarlo con altri trattamenti di terapia manuale indispensabili per la completa risoluzione della problematica e per l’individuazione e l’eliminazione delle cause che hanno portato alla formazione dei trigger.
Esistono molti corsi che sono in grado di insegnare la localizzazione ed il trattamento di un trigger. Consigliamo di affidarsi a docenti qualificati e verificare che il corso sia Evidence Based, cioè segua un approccio il più scientifico possibile e non sia invece, come troppo speso accade, il frutto di strane e miracolose teorie non supportate da nessuno studio scientifico a loro favore.