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TRATTARE L'INSTABILITÀ CRONICA DELLA CAVIGLIA

Molti sportivi tendono a non curare, o a farlo in maniera non adeguata, le distorsioni della caviglia, che possono spesso essere di significativa entità.

Questo in molti casi porta ad altri traumi distorsivi, instaurandosi così una cronicità.

In seguito alle distorsioni della caviglia, oltre alle lesioni dei tessuti molli, come i legamenti o la capsula articolare, vi è un danno ai recettori della propriocezione e sensitivi in generale.

Gli esercizi propriocettivi sono gli esercizi più adatti per il recupero e la ripresa della funzionalità della caviglia e grazie a questi si può migliorare la percezione e il senso del movimento che sono deficitari in seguito alla lesione dei recettori.

LA CAVIGLIA

APPARATO OSTEO-LEGAMENTOSO

Nell’articolazione tibio-tarsica superiore, o talocrurale, si possono contare due facce articolari principali: la faccia formata dalla due ossa della gamba, cioè Tibia e Perone, che compongono il mortaio talo-fibulare, che è una concavità che accoglie perfettamente l’altra faccia articolare, cioè la troclea dell’Astragalo, la quale è formata dalle due facce malleolari mediali e laterali e da una faccia superiore. Ogni faccia articolare è rivestita da cartilagine, sul cui margine si inserisce la capsula articolare, che avvolge tutta l’articolazione, davanti e dietro. Oltre a questa articolazione, detta superiore, c’è un’altra articolazione, detta inferiore, che è formata dalle due facce articolari di astragalo (talo) e calcagno. Quest’ultima si chiama articolazione subtalare ed è molto importante per i movimenti di rotazione, cioè per la pronazione e per la supinazione. (1)

La caviglia è rinforzata da numerosi legamenti che servono per mantenere più stabilità tra le tre ossa che formano l’articolazione. Per mantenere più stabilità tra tibia e perone, che formano il mortaio, ci sono due legamenti denominati tibiofibulare anteriore e posteriore, che fissano queste due ossa davanti e dietro, ancorandole l’una all’altra. Mentre per quanto riguarda i legamenti che vanno a stabilizzare l’articolazione vera e propria della caviglia, e cioè tra astragalo da una parte, e tibia e perone dall’altra, si può notare che, tra la parte mediale e quella laterale, il legamento più robusto di tutti è situato nella parte mediale del piede, ed è il legamento collaterale mediale, formato da quattro parti, ognuna con un nome diverso che deriva dal decorso che fa quella parte del legamento. Quindi il fascio di fibre che parte dalla tibia e giungerà all’osso navicolare, prenderà il nome di tibionavicolare. Un fascio andrà a collegarsi col sostentacolo dell’astragalo, che si trova sul calcagno, e prenderà il nome di tibiocalcaneare. Le altre due parti invece prenderanno il nome di tibiotalare anteriore e tibiotalare posteriore, che giungeranno sempre sull’astragalo, ma il primo raggiungerà il collo, e sarà coperto parzialmente dalla parte tibiocalcaneare, e il secondo andrà ad inserirsi nella faccia mediale dell’astragalo. Il legamento collaterale mediale viene anche denominato deltoideo. (1)

Dalla parte opposta non c’è un unico legamento che rinforzi tutto il comparto laterale, ma sono tre legamenti diversi che insieme formano il legamento collaterale laterale. Questi tre legamenti sono il legamento talofibulare anteriore, talofibulare posteriore e calcaneofibulare. Di questi tre, quello che viene più frequentemente danneggiato in seguito a distorsioni in inversione, è il talofibulare anteriore, anche detto peroneo-astragalico anteriore, che ha un decorso che va dal malleolo laterale, cioè il perone, al collo dell’astragalo. Il posteriore invece ha un decorso che va quasi orizzontalmente verso il processo posteriore dell’astragalo. Nelle gravi distorsioni in inversione invece possono lesionarsi anche gli altri legamenti, e quindi aumenta di molto l’instabilità dell’articolazione nel comparto laterale. (1)

Trattare l'instabilità cronica della caviglia

Trattare l’instabilità cronica della caviglia

Trattare l’instabilità cronica della caviglia
Trattare l’instabilità cronica della caviglia

MUSCOLI DELLA CAVIGLIA

L’articolazione della caviglia può muoversi su diversi piani: grazie alla grande mobilità della stessa e ai molteplici muscoli che la fanno muovere, la caviglia può muoversi lungo l’asse trasversale per compiere i movimenti di flessione plantare e flessione dorsale, o lungo l’asse obliquo per compiere i movimenti di pronazione e supinazione.

I muscoli che agiscono su questa articolazione, perciò, possono essere suddivisi per funzionalità, o meglio, per l’azione che essi compiono:

  • Flessori dorsali: il più importante dorsiflessore è situato nella gamba ed è il tibiale anteriore.
  • Flessori plantari: l’azione viene svolta per la maggior parte dal muscolo tricipite della sura. Viene aiutato nello flessione plantare da i due peronieri, lungo e breve, e dal tibiale posteriore.
  • Pronazione: questo movimento viene eseguito quasi totalmente dal peroniere lungo e da quello breve
  • Supinazione: in questo movimento interviene principalmente il muscolo tricipite della sura. Viene aiutato nel movimento dal tibiale posteriore e in minima parte da quello anteriore. (1)(3)

VASCOLARIZZAZIONE

La vascolarizzazione della gamba inizia con l’arteria poplitea a livello della fossa omonima, poi scendendo, in un punto ad altezza variabile, darà origine all’arteria tibiale anteriore, che, una volta continuato il suo decorso verso la caviglia, si dividerà in arteria tibiale posteriore e in arteria peroniera. L’arteria tibiale anteriore porterà il sangue all’arteria dorsale del piede, mentre l’arteria tibiale posteriore porterà il sangue alle arterie della parte plantare del piede. Il sangue poi viene raccolto per la maggior parte dalla vena grande safena e in minor parte dalla vena piccola safena e risale la gamba fino a ritornare al cuore. (1)(3)

INNERVAZIONE

I nervi periferici che innervano gamba e piede partono dalla fossa poplitea tramite due rami, il nervo peroneo comune e il nervo tibiale. Il primo scende verso il piede lungo il margine posteriore del muscolo bicipite femorale, il secondo si inserisce tra i due capi del gastrocnemio. Per l’innervazione del piede sono molto importanti il nervo safeno, che innerva tutta la parte mediale della gamba e del piede, il peroneo superficiale, che si ramifica sul dorso del piede, e il nervo peroneo profondo che contiene sia fibre motorie che sensitive per lo spazio interdigitale. (1)

INSTABILITA’ DI CAVIGLIA E DISTORSIONI

CLASSIFICAZIONE

Una distorsione è la perdita momentanea del rapporto tra le superfici articolari dei capi ossei che formano l’articolazione. In questo tipo di trauma molto spesso vi è stiramento o lacerazione dei tessuti molli che fanno parte e che circondano l’articolazione, come la capsula articolare, i legamenti, i muscoli e i tendini. Nella classificazione delle distorsioni di caviglia, vengono considerate proprio le lesioni ai tessuti molli:

  • GRADO 0: il quadro non presenta rotture legamentose, ma c’è una modesta tumefazione; può essere presente un lieve ematoma nella parte laterale del piede e inoltre viene riferito dolore nella zona premalleolare laterale.
  • GRADO 1: presenza di tumefazione laterale crepitante con ematoma, dolore all’angolo peroneo-tibiale e c’è la possibilità di caricare ma con dolore. Inoltre vi è la rottura isolata del legamento peroneo astragalico anteriore.
  • GRADO 2: ematoma presente sia nella zona laterale che in quella mediale, dolorabilità nella parte pre e sotto-malleolare, aumento inoltre della mobilità laterale e deambulazione con zoppia; in questo caso vengono coinvolti i legamenti peroneo astragalico anteriore, peroneo calcaneare e astragalo calcaneare
  • GRADO 3: il quadro con cui si presenta la caviglia è un edema con ematoma nell’angolo tibio-peroneale anteriore, inoltre vi è dolore nel movimento di varismo del piede. Se viene effettuato il test del cassetto astragalico, esso risulterà positivo. L’appoggio del piede al suolo non è possibile. I legamenti che sono interessati in questo caso sono il peroneo astragalico anteriore, il peroneo calcaneare, il peroneo astragalico posteriore e, non in tutti i casi, l’astragalo calcaneare. (4)
Trattare l'instabilità cronica della caviglia

Può essere utilizzata anche un altro tipo di classificazione, che si basa più sull’aspetto temporale, ed è formata da 3 gradi:

  • Lesioni acute: primo trauma distorsivo
  • Lesione acute su precedente: dopo un primo episodio di distorsione, ne avviene un altro sulla stessa caviglia a distanza di almeno seidieci mesi
  • Lesioni inveterate: frequenti episodi distorsivi che possono essere causati anche da lassità croniche (5)

EPIDEMIOLOGIA

Il trauma distorsivo alla caviglia è un infortunio molto comune, più di quanto si pensi, basti considerare che l’incidenza giornaliera delle distorsioni alla caviglia è di 1 ogni 10000 persone e in particolare vengono segnalate soprattutto distorsioni della parte laterale del piede, quindi in inversione, che colpisce la popolazione nell’85% dei casi di infortunio alla caviglia. (6)(7) Inoltre in una percentuale che può salire fino al 70% c’è la possibilità che la caviglia, proprio in seguito ad una distorsione avvenuta in precedenza, possa subire una seconda distorsione o possa continuare a manifestare determinati sintomi (quali debolezza, sensazione di cedimento, dolore). Questa particolare situazione viene denominata instabilità cronica di caviglia. (8) Questo genere di traumi, perciò, è frequente in tutta la popolazione, ma la frequenza di questi infortuni aumenta ancora di più se si va a tenere conto solo della popolazione attiva fisicamente o che pratica sport. Infatti, per chi pratica attività fisica, questo è uno degli infortuni in cui si può incorrere più facilmente, è il secondo infortunio più frequente negli sportivi, e la causa di una distorsione di caviglia, molte volte, è proprio una storia di distorsioni di caviglia. (7)

MECCANISMI TRAUMATICI

Come detto precedentemente la maggior parte delle distorsioni va a colpire il comparto laterale della caviglia, e quindi il movimento che viene eseguito perché avvenga questo tipo di trauma è quello di inversione del piede. I movimenti traumatici però sono due, in inversione ed eversione:

  • In inversione: questo trauma comprende anche un movimento di varismo che crea più spesso lesioni a legamenti che fratture ai malleoli. Inoltre solitamente viene associato al movimento di inversione e varismo anche quello di flessione plantare, ma non in tutti i casi. Il legamento che viene interessato in questo trauma è il peroneo astragalico anteriore (PAA) e questo può causare la comparsa del cassetto anteriore. Se la distorsione è di grado maggiore possono essere interessati anche gli altri due legamenti del comparto laterale. Se invece viene associata la dorsi-flessione, in alcuni casi può essere lesionato prima il legamento peroneo calcaneare e poi il PAA. (9)(10)
  • In eversione: questo trauma a differenza del precedente viene associato al valgismo, causa più spesso fratture ai malleoli e il legamento che viene interessato in questo movimento è il legamento deltoideo. (9)(10)

DEFINIZIONE DI INSTABILITA’ DI CAVIGLIA

Secondo Freeman (11), l’instabilità cronica di caviglia (CAI) sarebbe il risultato di due possibili condizioni, cioè l’instabilità di tipo funzionale e l’instabilità di tipo meccanico. La prima comprende tutti quei sintomi quali sensazione di cedimento e ricorrenti traumi distorsivi ed oltre a questi vi può essere anche debolezza, dolore e difficoltà nel cammino su superfici irregolari. Questa perciò è causata soprattutto da deficit della propriocezione e da un’alterazione nel controllo neuromuscolare. Invece l’instabilità di tipo meccanico comprende tutte quelle problematiche che sono legate alle strutture che vanno a comporre la caviglia: quindi può essere data da una lassità legamentosa dovuta a distorsioni pregresse, oppure da una rottura di legamenti, perciò viene considerata qualsiasi struttura che possa andare ad alterare il normale movimento della caviglia, e quindi oltre la normale portata dell’articolazione. (6)(12) Secondo Freeman (11), però, raramente tutti i sintomi che fanno presagire una instabilità di tipo funzionale sono secondari ad una instabilità di tipo meccanico. Tuttavia la sensazione di “giving way” cioè di cedimento può portare a ricorrenti distorsioni di caviglia e alla fine portare ad una instabilità di tipo meccanico.

Successivamente Hertel (13) propose un suo modello per classificare l’instabilità di caviglia: secondo questo modello quindi l’instabilità di caviglia poteva essere data dai due fattori insufficienze meccaniche e insufficienze funzionali, ma solo nel caso in cui questi due si sovrappongono (quindi quando si ha sia instabilità funzionale sia instabilità meccanica) si ha instabilità cronica con episodi di ricorrenti distorsioni.

Secondo il modello di Hertel (13) le cause dell’instabilità di tipo meccanico possono essere 3:

  • Lassità patologica: questa è il risultato di un danno ai legamenti che hanno la funzione di contenere la caviglia e di darne stabilità. In seguito ad una lesione dei legamenti perciò si può avere diversi gradi di lassità, e quindi di instabilità, a seconda di quanti legamenti vengono lesionati. Per valutarne l’entità solitamente si usa effettuare il test del cassetto anteriore, che consiste nello spostamento anteriore della tibia sull’astragalo, e questo può essere un indice di lesione del legamento peroneo astragalico anteriore. Nel caso in cui si voglia valutare anche l’integrità del legamento calcaneo fibulare bisogna effettuare il “talar tilt test”.

  • Limitazioni artrocinematiche: queste possono essere a una qualsiasi delle 3 articolazioni della caviglia (tibiofibulare, tibio-tarsica e astragalo calcaneare). È importante sapere che se una di queste è correlata a continue distorsioni di caviglia, questo può comportare un difetto di posizionamento dell’articolazione tra tibia e fibula distalmente. Come suggerisce nel suo studio Mulligan, ci può essere un dislocamento della fibula, anteriormente e inferiormente, nelle persone che soffrono di instabilità cronica di caviglia. Quindi in questa posizione errata del perone il legamento PAA è deteso, e, quando inizia a supinare il retropiede, prima che il legamento si porti in tensione, l’astragalo può effettuare un movimento più ampio. Oltre a questo anche l’ipomobilità e un limitato range di movimento possono essere intesi come insufficienze di tipo meccanico, soprattutto quest’ultimo, se inteso come dorsiflessione, è considerato uno dei fattori predisponenti alla distorsione di caviglia.

  • Alterazioni sinoviali e degenerative: in alcuni pazienti che soffrivano di sinoviti si è visto che spesso riportavano instabilità e dolore, questo perché in molti casi la sinovite era causata da “impingement”, dato da un’ipertrofia del tessuto sinoviale. Inoltre è stato rilevato, da uno studio di Gross e Marti, che nei pallavolisti con una storia di distorsioni alla caviglia c’è un’incidenza più alta di formazione di osteofiti e di sclerosi subcondrale rispetto a dei soggetti sani. (13)

Per quanto riguarda invece le insufficienze di tipo funzionale, secondo Helter (13), possono essere di 4 tipi:

  • Compromissione della propriocezione e della percezione: in seguito a distorsioni, soprattutto se intese come ricorrenti, ci può essere un’alterazione della propriocezione, che è riscontrabile soprattutto come deficit della cinestesia o nella riproduzione di un dato angolo dell’articolazione della caviglia. Il manifestarsi di questi deficit propriocettivi, secondo recenti studi, sembra sia dato non tanto da un alterazione nei meccanorecettori della capsula articolare o dell’articolazione, ma piuttosto da una alterazione ai fusi neuromuscolari presenti nei muscoli peronieri. Per quanto riguarda invece i deficit della percezione, non ci sono studi che hanno dimostrato come in seguito a traumi distorsivi ci possa essere un interessamento della sensibilità, tuttavia in seguito ad una distorsione acuta viene segnalato un ritardo della velocità di conduzione e un’alterazione della sensibilità cutanea, che possono indicare una paralisi del nervo peroneo comune, ma, come detto prima, non c’è nessuna prova a sostegno di questa affermazione.
  • Compromissione neuromuscolare e dei pattern di attivazione o reclutamento: nei pazienti con CAI è stato dimostrato che queste compromissioni sono presenti attraverso la valutazione del tempo di riposta ai riflessi dei muscoli peronieri in seguito ad una perturbazione in inversione o in eversione.
  • Compromissione del controllo posturale: per valutare questo parametro molto spesso viene chiesto al paziente di restare in equilibrio in appoggio monopodalico, muovendosi il meno possibile, per un periodo che varia dai 10 ai 30 secondi, e viene effettuato prima sull’arto colpito da distorsione e poi su quello sano, prima ad occhi aperti e poi ad occhi chiusi.
  • Deficit di forza: sono stati riportati, in seguito a distorsioni, soprattutto deficit di forza in eversione ed in inversione. Non è ancora ben chiara la causa di questi deficit. (13)

Tuttavia, come afferma Hiller (14) nel suo studio, ci sono stati casi di alcuni pazienti che hanno sofferto sia di instabilità di tipo meccanico, quindi ad esempio lassità legamentosa in seguito ad una distorsione, sia di instabilità di tipo funzionale, come un’alterata propriocezione, che però non hanno sofferto di ricorrenti distorsioni di caviglia. Questo ha portato Hiller a proporre un nuovo tipo di modello che definisce l’instabilità di caviglia come l’insieme di tre insiemi, aggiungendo ai due già precedentemente citati nello studio di Hertel l’insieme “ricorrenti distorsioni”, che quindi non sarà più la sovrapposizione degli insiemi instabilità meccanica e instabilità funzionale, ma sarà esterno ad essi, andando a formare 7 sottocategorie, che sono la combinazione o meno dei 3 insiemi. Inoltre Hiller ha modificato nel suo modello il termine “funzionalmente instabile” con “instabilità percepita”, questo perché il nuovo termine rende più chiaro e distingue maggiormente il concetto di limitazioni coinvolte nell’instabilità cronica di caviglia, dalle limitazioni funzionali o da quelle nelle attività, che possono derivare da questa patologia o coesistere con essa.

Dallo studio di Holme si è visto che, passati 4 mesi da una distorsione di caviglia, sia in soggetti che non avevano seguito alcun tipo di riabilitazione, sia in pazienti che avevano eseguito una riabilitazione incentrata sul controllo dell’equilibrio e la coordinazione, i deficit nel controllo posturale diminuivano o non erano più presenti. C’è da dire però che, per quanto riguarda i primi, hanno avuto più del doppio delle probabilità di andare incontro a ricorrenti distorsioni di caviglia, rispetto a quelli che hanno effettuato della riabilitazione nei mesi seguenti alla distorsione. (15)

Trattare l'instabilità cronica della caviglia

SISTEMA PROPRIOCETTIVO

RECETTORI PROPRIOCETTIVI E TATTILI

Con il termine propriocezione si intende la capacità di percepire e riconoscere la posizione del nostro corpo e degli arti nello spazio. Essa comprende sia una percezione della posizione statica, sia una percezione della posizione in movimento. Questa capacità è indipendente dalla vista, perché anche ad occhi chiusi si riesce a percepire l’esatta posizione del nostro corpo. Questo sistema si basa su delle informazioni che vengono captate e recepite da dei sensori o recettori che hanno diversa provenienza.

I propriocettori effettivi sono di due tipi:

  • I fusi neuromuscolari, che sono cellule muscolari specializzate, pertanto si trovano all’interno del muscolo. La loro funzione è di controllare la lunghezza dei muscoli, quindi il loro stato di contrazione.
  • Gli organi muscolo-tendinei di Golgi sono situati all’interno dei tendini e ne controllano lo stato di contrazione.

Oltre a questi, all’interno delle capsule ci sono delle terminazioni libere che vanno a rilevare determinati parametri, quali la tensione o il movimento dell’articolazione, che servono alla determinazione della posizione. Queste informazioni ricevute verranno poi integrate con le informazioni dall’orecchio interno per dare il senso della propriocezione. Nelle capsule articolari inoltre si possono trovare altri due tipi di recettori, che intervengono nella discriminazione della sensibilità tattile:

  • I corpuscoli di Ruffini, sono sensibili alla distorsione della cute e a qualsiasi agente pressoria che agisce su di essa, sono tonici.
  • I corpuscoli di Pacini, di dimensione maggiore rispetto ai precedenti, rispondono a pressioni di entità maggiore e soprattutto a vibrazioni e pressioni intermittenti. Sono prevalentemente fasici. (3)

VIE SOMATOSENSORIALI

Questi recettori, che acquisiscono informazioni tattili e propriocettive, inviano stimoli tramite delle vie nervose afferenti, chiamate vie somatosensoriali, al sistema nervoso centrale. All’interno di questo gruppo di vie (somato-sensoriali) si può fare una distinzione in base al tipo di sensibilità che viene trasmessa e in base alla direzione che queste vie prendono.

La prima di queste vie è la via detta “del cordone posteriore” o del lemnisco mediale, che trasporta informazioni riguardanti la propriocezione cosciente, la sensibilità tattile fine, pressoria e vibratoria. Inoltre a sua volta questa via può essere suddivisa in altre due vie, che hanno origini diverse ma che poi si ricongiungono in un’unica destinazione. Queste due vie sono il fascicolo gracile o di Goll e il fascicolo cuneato o di Burdach. La prima di queste due ha origine con l’assone di primo ordine che entra nel sistema nervoso centrale attraverso le radici dorsali e sale formando fascicolo gracile; questo fascio di fibre raccoglie tutte le informazione sensitive della parte inferiore del corpo (quindi al di sotto di T6). La seconda via è il fascicolo cuneato, che a differenza della precedente, trasporta informazioni provenienti dalla metà superiore del nostro corpo (al di sopra di T6) e questi assoni ascendono formando il fascicolo cuneato. Queste due vie poi ascendono fino al livello del midollo allungato, e qui vanno a fare una sinapsi con i neuroni che si trovano nei rispettivi nuclei, nucleo gracile e nucleo cuneato. L’informazione poi prosegue e gli assoni dei neuroni di secondo ordine escono dai due fascicoli e proseguono insieme attraverso un altro fascio, denominato lemnisco mediale. Prima di entrare in questo nuovo fascio di fibre, avviene una decussazione, cioè gli assoni lasciano il lato del corpo da cui sono arrivati gli stimoli e vanno nel lato controlaterale; da qui poi arriveranno al talamo, e dal talamo, attraverso l’assone di un neurone di terzo ordine, giungeranno alla corteccia sensitiva primaria controlaterale al lato dello stimolo.

L’altra via che viene interessata dalla trasmissione di stimoli propriocettivi è quella che comprende i fasci spino-cerebellari. Essa invia stimoli riguardanti la contrazione dei muscoli, la tensione dei tendini e la posizione delle varie articolazioni. Questa via, a differenza dei cordoni posteriori, invia però informazioni riguardanti la sensibilità propriocettiva incosciente, questo perché i neuroni dei fasci spino-cerebellari non fanno sinapsi a livello del talamo, quindi le informazioni che trasporta sono tutte a livello inconscio. Questa via comincia con l’assone del neurone sensitivo di primo ordine che entra nel sistema nervoso centrale attraverso la radice dorsale e una volta arrivato al corno posteriore del midollo, fa sinapsi col neurone di secondo ordine. C’è una distinzione però da fare, perché una volta che il neurone di primo ordine ha fatto sinapsi, i neuroni di secondo ordine ascendono attraverso due fasci distinti: il fascio spino-cerebellare anteriore e il fascio spino-cerebellare posteriore.

La differenza che vi è tra questi due fasci sta nella decussazione: il primo fascio, quello anteriore, è formato da neuroni di secondo ordine che decussano nel midollo spinale, passando al lato controlaterale, e poi ascendono come fascio e, attraverso il peduncolo cerebellare superiore, raggiungono il cervelletto e la sua corteccia. Qui, prima di arrivare alla corteccia cerebellare, avviene la seconda decussazione che riporta le fibre nella metà ipsilaterale del cervelletto. Nel secondo fascio invece, quindi il posteriore, gli assoni non decussano a livello del midollo spinale, ma salgono fino al peduncolo inferiore del cervelletto, e poi alla sua corteccia, dallo stesso lato da cui provengono gli stimoli che sta trasportando. (3)

PROPRIOCEZIONE ED ESERCIZIO PROPRIOCETTIVO

Come descritto prima, sono numerosi i recettori presenti nei tessuti molli, soprattutto a livello delle articolazioni, per la presenza della capsula articolare, di legamenti e di muscoli e tendini. Una lesione ai tessuti molli, perciò, crea un disequilibrio nella propriocezione e nella cinestesia, andando a influire anche nel controllo neuromuscolare. Quindi, anche nella prima fase dell’allenamento, è importante integrare gli esercizi propriocettivi, affinché fin da subito si possa andare ad agire su quelle vie che sono rimaste danneggiate dal trauma.

È stato dimostrato come gli esercizi a catena cinetica chiusa siano molto più stimolanti, dal punto di vista propriocettivo, rispetto a quelli a catena cinetica aperta, questo perché vengono selezionati anche gruppi muscolari bi-articolari e vengono coinvolte più articolazioni, andando a creare una stimolazione totale della gamba, e quindi attivando più recettori possibili che andranno a inviare informazioni al sistema sensomotorio.

Quindi per il controllo dell’equilibrio e della postura è fondamentale l’inclusione nel trattamento di esercizi mirati alla propriocezione, soprattutto in quei pazienti, come in quelli con instabilità cronica di caviglia, in cui ci sono state lesioni dei tessuti molli e traumi a livello delle articolazioni, in cui c’è stata un’alterazione delle vie afferenti gli stimoli propriocettivi. Perciò è essenziale costruire un programma di esercizi propriocettivi, o di equilibrio, per ristabilire sin da subito le vie che portano le informazioni sensoriali, permettendo così un miglior controllo del movimento e della postura. (16)

BIBLIOGRAFIA

1. Platzer W. (2007), “Anatomia umana, atlante tascabile, apparato locomotore”, Ambrosiana, Rozzano (MI)

2. Benessere.com, “La caviglia”.

3. Martini F.H., Timmons M.J., Tallitsch R.B. (2010) “Anatomia umana”, EdiSES, Napoli

4. Buccianti M. (2014), “Efficacia del bendaggio funzionale nell’instabilità cronica di caviglia: revisione sistematica della letteratura”.

5. Candela V., “La distorsione di caviglia”.

6. Loudon J.K., Santos M.J., Franks. L, Liu W. (2008) “The Effectiveness of Active Exercise as an Intervention for Functional Ankle Instability”, Sports Medicine, Vol 38, n°7, pag 553-563.

7. McKeon P.O., Hertel J. (2008) “Systematic Review of Postural Control and Lateral Ankle Instability, Part II: Is Balance Training Clinically Effective?”, Journal of Athletic Training, Vol 43, n°3, pag 305-315

8. Sefton J.M., Yarar C., Hicks-Little C.A., Berry J.W., Cordova M.L. (2011), “Six Weeks of Balance Training Improves Sensorimotor Function in Individuals With Chronic Ankle Instability”, Journal of Orthopaedic & Sports Physical Therapy, Vol 41, n°2, pag 81-89

9. Mazzieri E., De Palma P. (2009) “Il trattamento riabilitativo dell’instabilità cronica di caviglia: il ruolo del taping”.

10. Di Cecco F. (2013), “Distorsione di caviglia”.

11. Freeman M.A.R. (1965), “Instability of the foot after injuries to the lateral ligament of the ankle”, The journal of bone and joint surgery, Vol 47B, n°4, pag 669-677

12. Lee H., Lim K., Jung T., Kim D., Park K. (2008), “Changes in Balancing Ability of Athletes With Chronic Ankle Instability After Foot Orthotics Application and Rehabilitation Excercise”, Annals of Rehabilitation Medicine, Vol 37, n°4, pag 523-533

13. Hertel J. (2002), “Functional Anatomy, Pathomechanics, and Pathophysiology of Lateral Ankle Instability, Journal of Athletic Training, Vol 37, n°4, pag 364-375

14. Hiller C.E., Kilbreath S.L., Refshauge K.M. (2011), “Chronic Ankle Instability: Evolution of the Model”, Journal of Athletic Training, Vol 46, n°2, pag 133-141

15. Holme E., Magnusson S.P., Becher K., Bieler T., Aagaard P., Kjaer M., (1999), “The effect of supervised rehabilitation on strength, postural sway, positionsense and re-injury risk after acute ankle ligament sprain” Scandinavain Journal of Medicine & Science in Sports, Vol 9, n°2, pag 104–109

16. Kisner C., Colby L.A. (2014), “Esercizio terapeutico, fondamenti e tecniche”, Piccin Nuova Libraria, Padova

Fonte: “L’efficacia degli esercizi propriocettivi nel trattamento dell’instabilità cronica di caviglia: revisione bibliografica” di Mattia Chiggiato

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