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RECUPERO DEL CONTROLLO MOTORIO

Recupero del controllo motorio

Danni articolari, legamentosi, dolore e trauma chirurgico influenzano in modo significativo i meccanismi di controllo motorio locale e globale. In questo capitolo si tenterà di spiegare il valore che ricopre il ripristino di un adeguato controllo motorio nel paziente postchirurgico. Nella prima parte vengono riassunte le più recenti conoscenze che hanno modificato sostanzialmente l’approccio terapeutico per i disordini muscolo-scheletrici: in particolare, il modello teorico proposto da Panjabi (Panjabi, 1992) riguardante la stabilità di un’articolazione, sulla gerarchia dei vari sistemi di controllo e sulle classificazioni dei vari muscoli dal punto di vista funzionale.
Nella seconda parte viene discusso l’effetto del dolore e della lesione muscolo-scheletrica sul controllo motorio e si delineeranno le caratteristiche dell’approccio terapeutico.

Gerarchia del controllo motorio
La maggiore attenzione al recupero del controllo motorio nella riabilitazione dei disordini muscoloscheletrici ha determinato uno spostamento da un approccio riabilitativo, classicamente ortopedicobiomeccanico, verso una maggiore considerazione del contributo del sistema nervoso al recupero delle abilità motorie.
Il controllo motorio può essere definito come la modalità del sistema nervoso di generare una risposta coordinata sulla base del confronto fra le varie afferenze e il modello corporeo dinamico interno in ordine all’esecuzione di un gesto. Ciò garantisce un minore dispendio energetico per il controllo segmentale, per l’orientamento dei vari segmenti e per il controllo della postura rispetto all’ambiente circostante (Hodges, 2004). Controllo segmentale, orientamento spaziale dei segmenti e controllo posturale costituiscono i tre livelli organizzati gerarchicamente e interdipendenti attraverso i quali si esprime il controllo motorio. Ogni azione motoria deve contenere obbligatoriamente una strategia per i tre livelli, in modo da garantire la stabilità articolare durante il movimento. Ciò avviene prevedendo le forze esterne e interne che agiscono sul corpo durante l’espressione del gesto, per mantenere il centro della massa corporea (CMC) al di sopra della base d’appoggio (Hodges, 2004). Alcuni lavori hanno dimostrato che un’alterazione dell’attivazione muscolare, che va a discapito della stabilizzazione segmentale, possa essere alla base di disturbi muscolo-scheletrici anche di natura cronica. Questa ipotesi viene sostenuta nel tratto cervicale (Falla, 2004) e lombare (Hodges, 2004), nel complesso della spalla (Kibler et al, 2001) e nella caviglia (Barrack et al, 1989; Gauffin et al, 1988). Questi lavori forniscono un importante contributo per la clinica: l’instabilità articolare è infatti ritenuta un fattore di rischio importante per l’insorgenza di disordini muscolo-scheletrici.
Nel 1992 Panjabi (Panjabi, 1992; Panjabi, 2003) ha proposto un modello teorico, per il controllo della stabilità articolare della colonna vertebrale, che identifica alla base della stabilità articolare tre sottosistemi: il sottosistema attivo muscolare, il sottosistema passivo capsulo-legamentoso e scheletrico e il sottosistema di controllo nervoso (Fig. 1.16). Il sistema nervoso viene definito come il controllore del sistema attivo muscolare che assiste il sistema passivo, costituito dalle strutture capsulo-legamentose e dalle superfici articolari, nel mantenimento della stabilità, durante l’esecuzione dei gesti motori (Panjabi, 2003). L’instabilità articolare va quindi vista come il risultato dell’incapacità dei tre sottosistemi di garantire il controllo segmentale. Tuttavia l’insufficienza di un sottosistema può essere compensata dagli altri due. Una lesione del legamento crociato anteriore, infatti, non sempre produce un’instabilità articolare: se i restanti sottosistemi sono in grado di compensare questa lesione legamentosa nei gesti che la persona compie, il ginocchio può non essere definito come instabile.
Le varie strutture muscolari possono essere suddivise in: muscoli locali (maggiormente responsabili della stabilità articolare) e globali (che permettono l’orientamento e il movimento dei segmenti corporei).
Quest’ultimo gruppo può essere ulteriormente suddiviso in: muscoli antigravitari e muscoli non antigravitari (Richardson, 2004). I primi, spesso monoarticolari, lavorano in catena cinetica chiusa (CCC); i secondi, di solito muscoli multiarticolari, lavorano in catena cinetica aperta (CCA) come, per esempio, il retto femorale.
Il modello teorico di Panjabi evidenzia che una lassità legamentosa traumatica o non traumatica non è sinonimo d’instabilità articolare e ha riqualificato i meccanismi di controllo neurologico alla base dell’attività muscolare.
Il sistema nervoso centrale utilizza per tale controllo circuiti di feedback e di feedforward (Fig. 1.17). Il sistema di feedback, chiamato anche close-loop, basa le attivazioni muscolari sulle afferenze provenienti dagli organi vestibolari, visivi e somato-sensoriali. Questi ultimi forniscono al sistema le informazioni di tipo propriocettivo ed esterocettivo la cui integrazione è decisiva per la corretta esecuzione di un gesto.

Sebbene a una prima analisi il sistema di close-loop sembri soprattutto un’attività centrale cosciente dove il movimento si basa sul feedback ricevuto, la modalità di funzionamento è assai più complessa e, per comprenderla, è necessario considerare tutte le interazioni fra il sistema sensitivo e il sistema motorio, dai riflessi spinali ai gesti motori complessi fini (Hodges, 2004). Proprio il sistema di close-loop sembra essere deputato alla gestione di movimenti lenti, molto complessi, che necessitano di alta accuratezza.
Moseley et al (2003) hanno evidenziato l’influenza del sistema nervoso centrale sulle diverse reazioni dei riflessi da stiramento, sottolineando la variabilità degli stessi nel caso di preavviso. Gli altri due riflessi spinali che vengono comunemente associati all’alterazione del controllo motorio, il riflesso di evitamento (withdrawal reflex) da stimolo nocicettivo e il muscle-pain reflex in presenza di una reazione infiammatoria artrogenica, verranno discussi successivamente (Sterling et al, 2001). Anch’essi, pur esprimendo una reazione motoria immediata a livello spinale, subiscono una modulazione discendente.
Oltre a questi riflessi spinali a circuito breve, definiti comunemente come short-loop, il sistema muscolare usufruisce anche di riflessi a circuito lungo (longloop).
Questi ultimi possiedono una latenza maggiore, una maggiore flessibilità e possono essere influenzati dalla volontà (Hodges, 2004). Salendo nella gerarchia dei meccanismi di close-loop per il controllo motorio si arriva ai punti trigger che identificano quelle risposte motorie per il mantenimento del controllo posturale. Il sistema nervoso centrale, nel controllo dell’equilibrio, è capace di utilizzare varie strategie motorie, di cui le principali sono: tronco-guidato, anca-guidata e piede-guidato (Horak e Nasher, 1986; Winter et al, 2001). Esse vengono scelte dal sistema nervoso centrale in base all’esperienza e all’esigenza del momento tra quelle disponibili (Horak e Nasher, 1986; Runge et al, 1999).
Infine, nei sistemi di close-loop vengono collocati i movimenti lenti per gesti molto complessi che richiedono un’alta accuratezza. Questi sistemi sono particolarmente adatti per l’apprendimento motorio.
In caso di risultato soddisfacente, il sistema nervoso attiverà il sistema di feedforward, automatizzando il gesto corretto. Il sistema di feedforward, anche chiamato open-loop, caratterizza le attività motorie automatizzate, codificate a livello centrale e che non interagiscono con le afferenze sensorio-motorie. Solo se a posteriori il sistema nervoso centrale riconosce un compito motorio come troppo complesso o discordante dal risultato finale previsto, esso attiverà nuovamente i meccanismi del sistema di close-loop per controllare il gesto rallentandone l’esecuzione.
Fare le scale di casa è, per esempio, un’attività motoria di open-loop che, in caso di un’incongruenza fra il risultato previsto e il risultato motorio reale (per esempio, cambio di altezza degli scalini), verrà rallentata e corretta attraverso i sistemi di close-loop.
Una terza modalità di controllo a disposizione del sistema nervoso centrale, soprattutto utilizzata per il controllo dell’equilibrio in postura eretta, è la rigidità muscolare intrinseca determinata da modalità sia a feedback sia a feedforward (Hodges, 2004). La variazione della rigidità di base del sistema artro-muscolare, ottenuta attraverso il tono muscolare, partecipa al mantenimento dell’equilibrio in posizione eretta.
Un intervento di riabilitazione, anche di un solo distretto articolare, non può non considerare il sistema di controllo motorio nella sua completezza e deve cercare di stimolare e indurre modificazioni e adattamenti delle strategie motorie centrali, utili al recupero del gesto ottimale.

Dolore e controllo motorio
Lo studio dell’effetto del dolore sul controllo motorio è di solito condotto determinando sperimentalmente il dolore in animali o in persone sane. I risultati di queste ricerche possono essere considerati una buona rappresentazione di quello che accade in una situazione acuta, mentre dovrebbe essere usata molta cautela nel tirare conclusioni relative a situazioni
caratterizzate da disturbi algici cronici.
A tale proposito si confrontano due interpretazioni scientifiche, con un’importante ricaduta sulle modalità riabilitative in fase acuta e cronica: Johansson e Sojka (1991) propongono il vicious cycle model (modello del circolo vizioso), sostenendo che l’aumento dell’eccitabilità dei fusi neuromuscolari causata del dolore induce, attraverso i g-motoneuroni, un aumento dell’attività degli a-motoneuroni, con conseguente aumento della tensione muscolare a sua volta responsabile di un aumento del dolore, determinando e mantenendo un circolo vizioso. Altri autori dello stesso gruppo hanno evidenziato la possibile influenza sull’attività fusale di vari mediatori chimici coinvolti nei fenomeni dell’infiammazione (Djupsjobacka et al, 1994; Pedersen et al, 1997); questa visione interpreta la relazione fra lo stimolo nocicettivo e le strategie motorie in termini di risposte riflesse.
Al contrario, altri hanno riscontrato una diminuzione dell’attività elettromiografica nel muscolo dolente in stato sia di riposo sia di contrazione statica e dinamica, nonché degli adattamenti gestospecifici (Arendt-Nielsen et al, 1996; Falla et al, 2006; Graven-Nielsen et al, 1997; Svensson et al, 1998 a; Svensson et al, 1998 b). I loro risultati sperimentali supportano, in opposizione al modello del circolo vizioso di Johansson, il modello di adattamento al dolore proposto da Lund et al (1991) che sostiene che gli adattamenti muscolari siano guidati centralmente in base alle esigenze funzionali
(Matre et al, 1998). La Fig. 1.18 identifica le varie vie, evidenziate in letteratura, attraverso le quali il dolore altera la pianificazione motoria (Hodges et al, 2003). La figura mostra l’ampio spettro di reazioni motorie correlate allo stimolo nocicettivo. A livello spinale è stato evidenziato un aumento del riflesso di evitamento (withdrawal reflex) (Woolf et al, 1985) e del riflesso da stiramento (stretch-reflex). In presenza di entrambi gli adattamenti spinali si evidenzia anche una maggiore sensibilizzazione centrale, che sottolinea la modulazione soprassiale di questi riflessi spinali (Sterling et al, 2001). Riguardo alla riabilitazione muscolo- scheletrica questi lavori implicano la necessità di analizzare non solo il dolore periferico, ma anche le relazioni neurologiche centrali.

L’inibizione muscolare riflessa è un fenomeno di adattamento spinale fondamentale in caso di riabilitazione ortopedica. I muscoli adiacenti all’articolazione coinvolta in un trauma subiscono un’inibizione riflessa (Stokes e Young, 1984). La diminuzione della contrazione massimale volontaria e del senso di posizione in seguito a un trauma non sembra essere causata solo dal dolore, ma anche dalla distensione capsulare dovuta al versamento articolare e/o in seguito al danneggiamento dei recettori propriocettivi localizzati nella capsula articolare (Hurley, 1997; Revel et al, 1991; Revel et al, 1994; Shakespeare et al, 1985). Nel tratto lombare sono stati evidenziati fenomeni di inibizione del muscolo multifido in presenza di una lombalgia acuta e in presenza di lesioni discali (Hides et al, 1994; Hodges et al, 2006).
Brumagne et al (2000) hanno dimostrato un’alterazione del senso di posizione in pazienti con mal di schiena. L’affaticamento muscolare altera allo stesso modo le afferenze propriocettive predisponendo un distretto articolare a un maggiore rischio di lesione (Voight et al, 1996; Carpenter et al, 1998).Queste modifiche quantitative e qualitative delle afferenze possono determinare cambiamenti delle strategie motorie più globali quali l’orientamento e il controllo posturali, tramite l’induzione di modifiche dello schema corporeo (Capra e Ro, 2000).
Nell’analisi dell’effetto di uno stimolo nocicettivo sul controllo motorio non vanno dimenticate le influenze delle altre funzioni corticali sulla pianificazione del movimento: aspetti come l’ansia, la paura, la motivazione e le esperienze vissute, che possono essere stimolate dal dolore, giocano un ruolo fondamentale nella scelta della strategia motoria. L’integrazione degli aspetti emotivi nella pianificazione del movimento sembra avvenire soprattutto a carico dei gangli della base, dove viene regolato anche il grado di attivazione muscolare automatico e volontario (Takakusaki et al, 2004).

Nocicezione, lesione muscolo-scheletrica e controllo motorio: aspetti clinici
Ogni attivazione muscolare risponde all’obiettivo primario del movimento e a una strategia motoria che garantisce la stabilizzazione segmentale delle varie articolazioni coinvolte nel gesto, l’orientamento dei vari capi articolari e il controllo posturale nell’ambiente circostante. Questa strategia motoria dipende dal modello corporeo interno, dalle esperienze motorie pregresse e dall’eventuale presenza di uno stimolo esterno destabilizzante. L’alterazione della propriocezione, intesa come senso di posizione e l’alterazione dell’attivazione dei muscoli stabilizzatori locali sono le alterazioni muscolo-scheletriche più evidenziabili a livello segmentale. In presenza di un dolore o di una lesione muscolo-scheletrica si attivano varie reazioni di tipo spinale, che sono alla base di una modificazione del senso di posizione e di percezione del movimento locale. Queste alterazioni periferiche delle afferenze vengono considerate spesso un fattore di rischio nel determinismo di sovraccarichi locali (Cholewicki et al, 1997; Panjabi, 1992). La diminuzione del senso di posizione è stata evidenziata in vari distretti (Brumagne et al, 2000; Heikkilä e Wenngren, 1998; Hides et al, 1994; Hurley, 1997; Loudon et al, 1997; Revel et al, 1991).
L’alterazione del controllo motorio si esprime clinicamente attraverso la difficoltà di controllare in modo adeguato il segmento durante un movimento e tramite un‘iperattivazione dei muscoli globali.
Nella prima fase della flessione in posizione eretta si possono verificare, in una situazione di alterato controllo motorio locale lombare, dei piccoli cedimenti che si manifestano sotto forma di un movimento “cremagliera”. Hodges (Hodges, 2001) ha evidenziato una perdita della contrazione anticipatoria del muscolo trasverso addominale in pazienti con lombalgia cronica. Di particolare significato clinico appare il fatto che l’alterazione del timing di attivazione di questi muscoli, con la perdita del meccanismo anticipatorio, sembrerebbe protrarsi anche dopo la risoluzione del dolore e del quadro clinico acuto (Hides et al, 1996).
Una diminuzione della capacità di reclutamento degli stabilizzatori locali (muscoli flessori profondi del collo e multifidi) associata a un’iperattivazione del muscolo sternocleidomastoideo si esprime, per esempio, quando si chiede al paziente di estendere il capo in posizione seduta. L’incapacità di controllare, per l’insufficienza dei muscoli flessori profondi, lo spostamento posteriore del centro di gravità del capo (Fig. 1.19) determina l’esecuzione dell’estensione guidata dalla contrazione degli sternocleidomastoidei. In questo caso, il movimento di estensione avviene principalmente a carico del distretto occipito-atlantoideo senza coinvolgere, come dovrebbe essere in un movimento fisiologico, il rachide cervicale medio e inferiore. In presenza di una tendinopatia acuta alla spalla, il ritmo scapolo-omerale in elevazione appare alterato. Il sistema nervoso centrale attua questa strategia al fine di diminuire il dolore alla spalla. Anche
in questo caso, la normalizzazione del ritmo omero-scapolare non dipende unicamente dalla remissione del dolore, ma anche dal riapprendimento del corretto schema di movimento scapolo-omerale, ottenuto con un adeguato intervento riabilitativo. I muscoli locali, responsabili per la stabilizzazione dell’articolazione, presentano prevalentemente fibre
di tipo I, mentre i muscoli globali, che determinano il movimento del segmento, presentano una prevalenza di fibre di tipo II. Questa differenza rispecchia indirettamente la funzione dei vari muscoli. I muscoli locali eseguono contrazioni di lunga durata, di bassa intensità e possiedono una maggiore resistenza alla fatica, mentre i muscoli globali esprimono contrazioni più intense e veloci, ma possiedono una minore resistenza alla fatica. Vari autori hanno ipotizzato che, in presenza di dolore cronico e modificazione della strategia motoria, si verifichi un adattamento del tessuto muscolare caratterizzato da una diminuzione della concentrazione delle fibre di tipo I nei muscoli locali e un aumento delle fibre di tipo I nei muscoli globali (Andrey et al, 1998; Uhlig et al, 1995). Questo fenomeno sembra essere confermato da ulteriori recenti ricerche, anche se la scarsità dei dati disponibili deve comunque invitare alla cautela (Falla e Farina, 2005; Hodges et al, 2006). È chiaro che queste alterazioni modificano ugualmente il secondo livello di controllo motorio, vale a dire l’orientamento, sia statico sia dinamico, dei vari segmenti. Una scapola abdotta, un’ipolordosi lombare o una protrazione cervicale sono vari esempi di tale adattamento. Infine è necessario puntualizzare che la relazione tra il sistema propriocettivo e il cervello non avviene unicamente dalla periferia verso il centro, ma che il cervello possiede una sensibilità propriocettiva.
In altri termini, il sistema nervoso centrale è capace di focalizzare l’attenzione maggiormente sulle afferenze di un distretto rispetto a un altro. A conferma di questa ipotesi, Brumagne et al (2004) hanno sottolineato che soggetti anziani e soggetti con lombalgia utilizzano maggiormente le afferenze propriocettive provenienti dal piede e dalla caviglia per organizzare le risposte posturali e motorie, rispetto al gruppo di controllo che sembra essere maggiormente “tronco-guidato”. Il controllo motorio segmentale nel tratto lombare viene in questo modo modificato in base alle esigenze centrali. Le alterazioni locali influenzano anche le strategie posturali necessarie per agire in modo efficace con l’ambiente circostante; a simili conclusioni si è giunti in lavori sperimentali condotti in soggetti con esiti di traumi d’inversione di caviglia, evidenziando la stessa alterazione del controllo motorio nell’arto sano come in quello lesionato (Perrin e Bene, 1997) (Gauffin et al, 1988; Tropp e Odenrick, 1988). Secondo Chong et al (2001), il miglioramento dopo l’esercizio sulla tavoletta propriocettiva è dovuto soprattutto al miglioramento del controllo dell’anca e non al ripristino delle capacità
propriocettive della caviglia. Sembrerebbe quindi che il distretto che presenta un dolore o un disturbo muscolo-scheletrico venga meno coinvolto nel controllo posturale con una riduzione delle strategie motorie a disposizione e conseguente aumento del rischio di nuove lesioni (Anderson e Behm, 2005; Hodges, 2001; Hodges e Moseley, 2003). Nel programmare l’intervento riabilitativo si dovrà quindi porre grande attenzione alla qualità del movimento, prevedendo sempre l’esercitazione propriocettiva, non limitata al semplice esercizio alla tavoletta o di posizionamento articolare. Per ripristinare una corretta strategia motoria si dovrebbe cercare di correggere le attivazioni muscolari tramite esercizi finalizzati inseriti in contesti funzionali il più possibile variabili dal punto di vista spazio-temporale. Le afferenze propriocettive acquisite centralmente producono inoltre un importante effetto sul sistema di feedforward, influendo anche sui movimenti automatizzati e sulle contrazioni anticipatorie del sistema muscolare necessarie per evitare nuovi traumi (Santilli et al, 2005).

Note per l’esercizio terapeutico per il controllo motorio
In ambito ortopedico non si dovrebbe mai perdere di vista il danno strutturale con il quale ci si confronta; la comprensione del grado e della tipologia della lesione, nonché dello stato di reattività locale e generale, devono guidare il fisioterapista durante tutto il percorso terapeutico. È quindi fondamentale controllare che l’intensità dell’esercizio non aumenti il dolore e la reattività locale.
Prendendo a modello i meccanismi di riparazione tissutale, secondo gli Autori è possibile considerare il percorso riabilitativo in tre fasi: la fase I, di controllo del dolore e della reattività; la fase II, di ricondizionamento generale, e la fase III, di ricondizionamento specifico (Van Wingerden, 1997).
Nella fase infiammatoria il controllo motorio viene influenzato in modo negativo dall’inibizione riflessa muscolare che causa alterazioni del trofismo muscolare, soprattutto a carico dei muscoli del sistema locale.
Come si è visto precedentemente, il danno tissutale e lo stimolo nocicettivo possono alterare in modo importante le afferenze propriocettive dalla zona coinvolta, influenzando anche le strategie motorie centrali. Considerando le modifiche indotte dallo stimolo nocicettivo e/o dal danno strutturale di una lesione muscolo-scheletrica, si può proporre nella fase acuta (nel rispetto delle indicazioni chirurgiche) un programma di esercizi propriocettivi in scarico che abbiano come obiettivo il recupero o il rinforzo del senso di posizione e del senso del movimento, oltre a contrazioni analitiche per il sistema muscolare locale miranti a mantenere il tono-trofismo della struttura muscolare e contrastare i fenomeni di inibizione della capacità di reclutamento delle sue unità motorie. Le contrazioni richieste dovranno essere a bassa intensità, di lunga durata e con un’attivazione lenta, in modo da reclutare preferenzialmente le fibre di tipo I (Fig. 1.20).
Poiché l’alterazione del controllo motorio è un fenomeno che non colpisce solo localmente la struttura danneggiata ma, come visto nei lavori relativi alla lombalgia e alla distorsione di caviglia, anche regioni lontane, si rivela particolarmente utile in prima fase proporre, se possibile, esercizi per l’arto controlaterale sano, con l’obiettivo di stimolare la funzione neuromuscolare.
Questi esercizi precoci avranno sia un effetto positivo sul mantenimento dello schema corporeo sia un’azione di riduzione dell’ansia del paziente che, fin dal primo momento, sarà coinvolto nel suo processo di guarigione (Fig. 1.21). Kibler et al (2001) e Rubin (2002) hanno sottolineato il ruolo del tratto lombo-pelvico e della scapola nella rieducazione delle instabilità funzionali dell’articolazione gleno-omerale.
Le modificazioni motorie non si limitano solo al distretto coinvolto, ma interessano tutta la strategia motoria, influenzando il controllo segmentale anche ai distretti adiacenti. In tale ottica il processo riabilitativo dovrebbe essere prima focalizzato sul recupero del controllo motorio di ogni singolo distretto e, in seguito, integrare i vari distretti in esercizi finalizzati quali gesti sport-specifici (Musarra, 2005).
Nella fase II, caratterizzata da una riorganizzazione tissutale, si proporranno esercizi che stimolino l’integrazione funzionale fra muscoli locali e muscoli globali con funzione antigravitaria. Sono quindi da preferire esercizi a catena cinetica chiusa, con un carico adattato alle indicazioni chirurgiche e alla specifica condizione clinica. Nel caso in cui i muscoli antigravitari presentino una debolezza significativa, si sceglierà di iniziare con esercizi analitici per i muscoli antigravitari in sincronia con il sistema locale, per poi passare agli esercizi in catena cinetica chiusa (Fig. 1.22). In questa fase riveste una notevole importanza il recupero dell’adeguata strategia motoria per il mantenimento dell’equilibrio. Le afferenze propriocettive necessarie per tale compito funzionano in questo modo da rinforzo centrale. L’utilizzo di superfici più instabili costituisce un’ulteriore possibilità di progressione (Richardson, 2004). Nella fase III gli esercizi sport-specifici, o comunque finalizzati, assumono una rilevanza centrale: l’attenzione sarà posta al miglioramento della performance nell’esecuzione di tali esercizi, relativamente all’espressione di forza, resistenza, velocità e precisione, capacità che vengono espresse al meglio in presenza di un corretto ed efficace controllo motorio.

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FONTE: F. MUSARRA, M. TESTA

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