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IL DOLORE CERVICALE

Abbiamo ricevuto parecchie mail da parte dei nostri Lettori che sollecitavano la pubblicazione di questa parte, ma era importante capire prima le origini e il meccanismo che portano al dolore cervicale, nonché la differenza tra esercizio attivo e mobilizzazione/manipolazione. Jochen Schomacher risponde ora alla domanda: quale esercizio somministrare al paziente con dolore cervicale e quale effetto aspettarsi?
(per gentile concessione della rivista “Zeitschrift für Physiotherapeuten”).

Quale esercizio e con quale effetto?

Definizione dell’esercizio attivo

Bisogna differenziare tra:

    • esercizi generali che coinvolgono tutto il corpo o gran parte di esso che mirano a ottenere effetti cardiovascolari e respiratori, diminuzione del peso, un’analgesia in generale. Per esempio: per iniziare il trattamento dei dolori cervicali si raccomanda di fare semplicemente delle passeggiate, forse perché il movimento produce un effetto benefico generale oppure perché i piccoli movimenti ripetuti alleviano il dolore cervicale [1].
  • esercizi cervicali che mirano all’alleviamento del dolore cervicale e a un miglioramento della funzione (muscolare) cervicale. Per esempio: l’esercizio CCF (vedi Appendice) allevia il dolore cervicale e aumenta l’attivazione dei muscoli flessori cervicali profondi [2].

dolore cervicale

Nella letteratura spesso non si differenzia tra:

    • esercizio come attività neuromuscolare sotto la soglia d’allenamento del muscolo e che mira a un miglioramento della coordinazione;
  • allenamento che è la ripetizione sistematica di contrazioni muscolari oltre la soglia dallenamento con lo scopo di un’adattamento morfologico e funzionale per aumentare la capacità/l’efficienza [3].

L’esercizio qui è considerato l’attività muscolare che ha come obiettivo il sistema neuromuscolare, sia come esercizio che come allenamento perché appunto la letteratura non differenzia i due termini.

Sono esclusi gli esercizi di stretching, di automobilizzazione, eccetera.

Il dosaggio di questo esercizio in relazione alla forza massimale volontaria (MVC) determina l’effetto dell’esercizio (nel senso di allenamento).

Il dolore, che bisogna evitare, e la ridotta resistenza al carico del paziente a causa del periodo di non-uso durante il suo disturbo, impongono un inizio del programma di esercizi a bassa intensità e una lenta progressione [1].

Esempio: paziente con una performance di 10 secondi nel test della resistenza in flessione cervicale.

Il suo esercizio/allenamento consiste nel tenere la posizione per circa il 60-70% del tempo massimale, cioè 6-7 secondi, con un numero “x” di serie. Non è chiaro se questo dosaggio attiva nuove unità motorie oppure “rinforza” quelli che già lavorano ma sono deboli.

Se il paziente riesce a sollevare la testa appena per 1 secondo è necessario modificare l’esercizio da supino, facendo sdraiare il paziente su un piano inclinato in modo che possa tenere la testa almeno alcuni secondi. Il paziente dunque si allenerà al 60-70% di tale quantità di secondi in modo da essere sicuro di evitare il dolore.

Effetti degli esercizi cervicali

Gli effetti degli esercizi riguardano soprattutto l’analgesia e il ripristino della funzione. Per quest’ultima bisogna anche considerare l’effetto del dolore sull’attivazione muscolare, perché il dolore impedisce il ripristino della funzione.

ANALGESIA

Gli esercizi attivi cervicali riducono il dolore cervicale e la disabilità associata [4-6]. Gli esercizi di rinforzo e di resistenza (strengthening and endurance exercises) per esempio riducono il dolore cervicale (alta evidenza), mentre gli esercizi di resistenza riducono la disabilità associata al dolore cervicale (moderata evidenza), ma non è stato individuato un effetto di prevenzione sulla cervicalgia [7].

La soddisfazione dei pazienti cervicali è alta quando vengono trattati con esercizi terapeutici [8] . Gli esercizi cervicali riducono il dolore e migliorano la funzione a breve e a lungo termine nella cervicalgia cronica, mentre esiste una scarsa evidenza di benefici degli esercizi di stretching dell’ arto superiore oppure degli esercizi generali di rinforzo [8].

L’efficacia dell’esercizio cervicale sembra essere superiore ad altri trattamenti, inclusa la manipolazione [8-9].

Sembra quindi che alcuni esercizi abbiano un effetto superiore ad altri: una singola seduta con l’esercizio CCF (vedi Appendice) per la coordinazione riduce l’intensità del dolore (di 0,42/10 VAS / non l’esercizio CF) e la soglia del dolore alla pressione (PPT) nel collo (21 verso 7,3%) rispetto all’ esercizio CF per la resistenza. I due esercizi non alteravano la funzione del sistema nervoso simpatico e la PPT a distanza (gamba) [10].

Non è ancora chiaro, però, quale sia l’esercizio migliore [11].

EFFETTO DEL DOLORE SULL’ ATTIVAZIONE MUSCOLARE

Esistono principalmente due modelli di ragionamento che spiegano l’effetto del dolore sull’attivazione dei muscoli.

    • Modello della tensione muscolare eccessiva: le afferenze nocicettive aumentano l’attività dei motoneuroni gamma (per i fusi neuromuscolari: muscle spindles) che risulta in un aumento dell’attività muscolare e della rigidità muscolare (tono muscolare: muscle stiffness) [12].
    • Probabilmente questo vale soprattutto per i muscoli superficiali. Però il tono di riposo di un muscolo dipende meno da un’attività contrattile non-volontaria e maggiormente dalle caratteristiche viscoelastiche perché non si rileva attività elettromiografica nel paziente a riposo [13]. Il tono di riposo è positivo per la stabilità delle articolazioni e in particolare per la colonna [14]. La terapia adatta per un tono muscolare aumentato oppure per le cosiddette contratture muscolari è l’allenamento della resistenza [15].
  • Pain adaptation model: il dolore inibisce la contrazione muscolare nell’agonista per evitare il movimento doloroso e aumenta l’attività nei muscoli antagonisti [16]. Questo modello è sostenuto da diversi studi [17-20] e vale probabilmente soprattutto per i muscoli profondi.

Sembra che le condizioni biomeccaniche determinino l’inibizione e l’iperattivazione dei muscoli e che nel rachide lombare e cervicale i muscoli profondi siano inibiti e quelli superficiali iperattivati, un pattern che persiste anche dopo la scomparsa dei sintomi [21].

RIPRISTINO DELLA FUNZIONE DEL RACHIDE CERVICALE: MOBILITÀ E STABILITÀ

Il controllo attivo statico e dinamico del rachide cervicale è garantito da processi di “feedforward” e “feedback” grazie a diversi meccanismi come il controllo volontario, la propriocezione del collo, l’exterocezione dagli organi dei sensi incluso il sistema vestibolare [22].

Le afferenze propriocettive provengono probabilmente più dai fusi neuromuscolari che dai recettori articolari [23]. Queste afferenze sono coinvolte in diversi riflessi che influenzano l’orientamento della testa, il controllo dei movimenti oculari e la stabilità posturale [1,23].

Tali riflessi sono il cervicocollic reflex (CCR), il cervico-ocular reflex (COR) e il tonic neck reflex (TNR), che lavorano insieme con altri riflessi cervicali, vestibolari e visivi agendo sui muscoli cervicali [1,23].

Questi sistemi di controllo motorio sono da considerare nel contesto della cosiddetta instabilità clinica del rachide cervicale.

MODELLO CONCETTUALE DELL’INSTABILITÀ CLINICA

«L’instabilità clinica è definita come una diminuzione significativa della capacità del sistema stabilizzante della colonna nel mantenere la zona neutrale intervertebrale entro i limiti fisiologici in modo che non ci sia nessuna disfunzione neurologica, nessuna maggiore deformazione e nessun dolore incapacitante» [24]. Movimenti intervertebrali anormalmente grandi sono ritenuti la principale fonte del dolore meccanico in relazione alla compressione e/o allungamento di elementi neurali infiammati, oppure a una deformazione anomala delle strutture passive [25]. Per evitarli bisogna cercare di mantenere la vertebra entro la cosiddetta “zona neutrale”, cioè dentro il range dell’alta flessibilità oppure lassità intorno alla posizione 0 [24]. Il sistema di stabilizzazione del rachide cervicale consiste di tre sottosistemi: il sottosistema passivo muscoloscheletrico, il sottosistema attivo muscoloscheletrico e il sottosistema del comando neurale [25]. I muscoli cervicali contribuiscono fino all’80% alla stabilità del rachide cervicale in vitro [26].Purtroppo ad oggi non esistono test clinici validi e affidabili per trovare una instabilità cervicale minore [27-28]. Più del 50% di 153 fisioterapisti australiani con esperienza indicavano però i seguenti segni clinici per una instabilità clinica: pregresso trauma maggiore, riferita sensazione di sentire il collo come bloccato oppure cedevole (giving way), scarso controllo muscolare, sensazione finale eccessivamente libera durante l’esame del movimento passivo e imprevedibilità dei sintomi [29]. Sono stati elencati anche i segni radiologici di una ipermobilità [29], rilevati in pazienti con cervicalgia dopo un trauma, per esempio tra C3-4 fino a C5-6 [30]. Nei pazienti con cervicalgia è stata anche osservata una perdita della lordosi [31-33], ma le stesse variazioni riguardo alla lordosi, alla rettilineizzazione e alla cifosi della colonna cervicale si riscontrano anche nei pazienti senza cervicalgia (che hanno eseguito un esame Rx per altre ragioni) [34].

Riassumendo, sembra che il ripristino della stabilità clinica sia importante e gli esercizi attivi siano appropriati.

Disfunzioni meccaniche segmentali:

    • perdita della lordosi [31-33], ma pazienti con cervicalgia mostrano la stessa variazione della lordosi, rettilineizzazione e cifosi della colonna cervicale dei pazienti senza dolori cervicali [34];
  • ipermobilità aumentata da C3-4 fino a C5-6 in pazienti con dolori cervicali dopo trauma [30].

TERAPIA MECCANICA

Mantenere la vertebra in mezzo alla zona neutrale attraverso gli elementi passivi e il sistema neuro-muscolare [25] creando una guaina muscolare che circondi e stabilizzi la colonna cervicale [35].

La terapia meccanica:

    • mette l’enfasi sui muscoli profondi con inserzione diretta sulle vertebre perché meccanicamente solo essi possono stabilizzare la colonna vertebrale [36];
    • aumenta il tono muscolare passivo di riposo e il tono attivo [22,24,37-38];
    • reagisce con i muscoli che si oppongono agli impulsi del movimento, anche con un piccolo ritardo, quando questi possono essere anticipati (time-shifited reciprocal pattern of cervical muscle activation) [39];
    • coattiva simultaneamente gli agonisti e antagonisti quando la perturbazione della postura non può essere anticipata [39-40];
  • e usa poi l’allenamento classico!

dolore cervicale

Gli esercizi attivi cervicali riducono il dolore cervicale e la disabilità associata, aumentano la soddisfazione del paziente e hanno un effetto a breve e a lungo termine [4,8,41-42]. Il loro effetto sul dolore è misurabile tramite l’alleviamento del sintomo riferito dal paziente.

Gli esercizi ripristinano la funzione del movimento, migliorano la mobilità e forse anche la stabilità:

    • l’effetto sulla coordinazione è misurabile controllando l’esecuzione del movimento come nel test della flessione craniocervicale;
    • l’effetto sulla resistenza e sulla forza può essere misurato per esempio: con un orologio durante il test della flessione cervicale [43] e con un dinamometro durante il test della flessione craniocervicale [44].
  • l’effetto sulla stabilizzazione della colonna però non può ancora essere misurato nel contesto clinico.

Esempi di esercizi per il rachide cervicale

Anatomicamente solo pochi movimenti sono possibili (cfr. disegni qui sopra).

Si possono effettuare questi movimenti in modo passivo sul paziente, chiedergli di recepirli e poi di resistere, di “non farsi muovere”. In tal modo si ottiene un esercizio statico [45].

È possibile anche effettuare i movimenti con lo scivolamento come per la flessione e per l’estensione unilaterale (= inclinazione e rotazione) o bilaterale (= flessione ed estensione) chiedendo al paziente di recepirli e poi di aiutarci. Così si ottiene un esercizio attivo.

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