Laserterapia
Le prime applicazioni pratiche del laser (acronimo inglese di Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation) risalgono al 1960, quando T.H. Maiman costruì, sviluppando i presupposti teorici enunciati da A. Einstein nel 1917, una fonte laser utilizzando un cristallo di rubino sintetico. La prima comunicazione relativa alla sua utilità in campo biomedico risale al 1963, quando P.E. McGuff e R.A. Deterling descrissero le differenti interazioni dell´energia laser con i tessuti biologici.
Da un punto di vista fisico, l’energia laser presenta le seguenti caratteristiche: è collimata (tutti i raggi sono paralleli tra loro), è monocromatica (tutte le radiazioni possiedono la stessa lunghezza d´onda), è coerente (tutte le onde sono in fase nel tempo e nello spazio). Attualmente sono disponibili diverse fonti laser, ciascuna con una propria caratteristica lunghezza d´onda, distribuite lungo lo spettro elettromagnetico, dall´ultravioletto all´infrarosso (Tab. 4.2). Il più importante parametro usato per descrivere l´interazione tra l´energia laser e i tessuti è rappresentato dalla densità o fluenza, misurabile in J/cm2, e definita dal rapporto tra l´energia emessa al secondo (Ws) e l´area di tessuto esposto (cm2). La durata di esposizione alla densità di energia, compresa generalmente tra 10 e 10.000 J/cm2, è la variabile capace di determinare il tipo di effetto del laser sui tessuti: elettromeccanico, fotoablativo, termico, fotochimico (Tab. 4.3).
- L´effetto elettromeccanico si sviluppa quando l´energia laser viene liberata ad alti livelli di potenza in brevissimi intervalli di tempo, generando a livello del tessuto bersaglio un campo elettrico che produce un microplasma. L´onda di shock associata al microplasma determina la necrosi localizzata del tessuto.
Recentemente è stata progettata una fonte laser Nd-YAG (neodymium: yttrium aluminum-garnet), in grado di produrre un´azione elettromeccanica; tuttavia, l´attuale impossibilità di trasportare, attraverso un sistema di fibre ottiche, tale energia, ne impedisce l´utilizzo terapeutico.
- Il processo fotoablativo si determina attraverso la rottura diretta dei legami intramolecolari, senza reazione termica dei tessuti circostanti. Tale effetto è stato raggiunto sperimentalmente con fonti laser di 360 nm, ma anche per questo tipo di laser non è attualmente disponibile un sistema adeguato di trasporto a distanza.
- La maggior parte delle applicazioni di laser in chirurgia sfrutta la conversione dell´energia elettromagnetica in energia termica, determinando un effetto di coagulazione, emostasi e resezione, in rapporto alla profondità di penetrazione, alle caratteristiche di assorbimento dei tessuti, al livello termico provocato.
Le fonti comunemente impiegate sono il laser CO2, Argon e Nd-YAG (Tab. 4.4). Il problema più importante nell´uso clinico del laser termico consiste nell´evitare lesioni al tessuto circostante, concentrando l´effetto desiderato sulle zone bersaglio, utilizzando tecniche radiologiche, angioscopiche e spettroscopiche.
- L
´interazione fotochimica, caratterizzata da una lunga durata di esposizione a basso livello energetico, si manifesta allorché un cromoforo, cioè una molecola in grado di provocare reazioni indotte dall´energia luminosa, è sensibilizzato dall´energia laser, liberando radicali ossidrilici e determinando perciò la distruzione del tessuto bersaglio. Alcune molecole di questo tipo, come i carotenoidi e le tetracicline, con spettro di assorbimento di 460-480 mm e di 355 mm, sono note da tempo. Più recentemente è stata posta l´attenzione su alcuni derivati dell´ematoporfirina, che presentano una duplice selettività di legame a livello di alcuni tipi di neoplasie e delle placche aterosclerotiche. Tali lesioni sono in grado di assorbire l´energia emessa dal laser Argon.
Laser e fisioterapia
L’ortopedia è uno degli ambiti della medicina in cui le capacità terapeutiche del laser sono particolarmente sfruttate. Vediamo in che modo.
Il raggio laser entra nei tessuti e provoca una risposta biochimica sulla membrana cellulare e all’interno dei mitocondri. Fra gli effetti positivi, sono da segnalare la vasodilatazione (con conseguente aumento della temperatura della zona interessata, aumento del metabolismo, stimolazione neurovegetativa e modifica della pressione idrostatica intracapillare), l’aumento del drenaggio linfatico e l’attivazione del microcircolo.
Ovviamente l’azione può anche essere negativa (si pensi per esempio al fatto che si tende a proteggere sempre gli occhi durante la terapia per evitare danni alla retina e che molti laser sono utilizzati in chirurgia!). Non a caso la migliore strumentazione presente sul mercato ha tutte le protezioni opportune per evitare gli effetti collaterali di un uso eccessivo o improprio del laser.
Scopi della laserterapia in ambito fisioterapico
Gli scopi della laserterapia sono sostanzialmente due:
- antinfiammatorio
- antidolorifico
- rigenerativo del tessuto connettivo
- biostimolante sul microcircolo e sui vasi sanguigni
Nello sportivo il primo effetto dovrebbe riguardare solo i professionisti, perché, nella stragrande maggioranza dei casi, correre sul dolore non fa altro che allungare i tempi di guarigione (un professionista può per esempio ricorrere a una terapia antidolorifica per non saltare un campionato del mondo). L’azione antidolorifica è dovuta all’aumento della soglia della percezione delle terminazioni nervose e dalla liberazione di endorfine. L’effetto antinfiammatorio è dovuto all’aumento del flusso sanguigno conseguente alla vasodilatazione. L’azione antiedemigena (molte infiammazioni sono accompagnate da edemi) è dovuta alla modifica della pressione idrostatica intracapillare.
Indicazioni terapeutiche
La Laserterapia è una terapia importante per patologie come:
- Tendiniti
- Contratture muscolari
- Ulcere e piaghe
- Artrosi
- Postumi traumatici
Controindicazioni terapeutiche
La Laserterapia è controindicata nei casi di:
- Stato gravidico
- Epilessia
- Neoplasie
I limiti della laserterapia in fisioterapia
Il primo è sicuramente legato all’azione stessa del laser: un giusto dosaggio può essere molto difficile da realizzare; per evitare gli effetti collaterali è necessario adottare valori di intervento che sulla media della popolazione non fanno danni. In altri termini, non sempre è possibile personalizzare al massimo l’interazione fra laser e sistema biologico (tale personalizzazione può essere un boomerang se lasciata al terapeuta dotato di strumentazione senza feedback). Molti laser (per esempio quelli a elio-neon) hanno un’azione talmente blanda che, se non fanno danni, sono del tutto marginali nella cura. Quindi un punto fondamentale è che il laser abbia una potenza minima.
La seconda difficoltà è rappresentata dal fatto che il laser si limita ad accelerare i processi di guarigione; non è difficile trovare nelle pubblicità della strumentazione percentuali di guarigione dell’80% dei casi; ciò è vero, ma non dice che nel 75% dei casi la patologia sarebbe guarita con il semplice riposo! Più interessante l’indice di efficienza definito come E=1 – TG/TR, dove TG è il tempo reale di guarigione, mentre TR è il tempo necessario per guarire col solo riposo.
L’indice di efficienza dei laser dipende purtroppo dal tipo di laser e dalla patologia, andando da 0 a un 50%, cioè dal non fare nulla a dimezzare i tempi di guarigione!
L’ultima frase introduce il terzo limite che è rappresentato dalla patologia. L’efficienza della laserterapia non è costante, ma cambia al variare della patologia trattata: è massima nelle patologie dove la zona interessata è molto localizzata e superficiale ed è minima dove è diffusa e profonda. Per esempio è massima in una tendinite dell’achilleo e minima in una pubalgia.
Come valutare un laser?
La domanda è da un milione di euro, visto che la risposta richiederebbe un esame approfondito della strumentazione.
L’azione biologica del laser dipende:
- dalle caratteristiche del tessuto che caratterizza l’assorbimento, la riflessione o la trasmissione di energia;
- dalla lunghezza d’onda (che va dai 632 nm dei laser a elio-neon ai 10.600 nm dei laser ad anidride carbonica);
- dalla densità di potenza (cioè dalla potenza sull’unità di superficie);
- dall’inclinazione del raggio laser utilizzato che deve essere il più possibile ortogonale rispetto alla superficie da trattare per evitare la rifrazione;
- dal tempo di esposizione.
Semplificando il discorso potremmo dire che i laser si classificano in base alla potenza, per esempio quelli a elio-neon o a diodo semiconduttore sono a bassa potenza (soft-laser; con potenze per esempio attorno ai 500 mWatt), mentre altri, come per esempio quelli a neodimio YAG o a CO2, sono ad alta potenza (power-laser). Per esempio, un laser a CO2 è capace di produrre una notevole potenza di uscita in funzione dell’alta efficienza (circa il 30% rispetto allo 0,1% della maggior parte dei laser a elio-neon).
Quindi: escludere i soft-laser!
Lo svantaggio dei power-laser è che possono risultare troppo potenti! Per esempio un laser a CO2 da 6 watt deve essere manovrato sempre e rapidamente dal terapeuta sulla zona interessata per non provocare danni. La soluzione al problema è quella di usare power-laser che possano lavorare in modo pulsato (un neodimio YAG può lavorare a potenze di 25 Watt), con possibilità di regolazione della densità di energia per impulso, del livello energetico e del ciclo di emissione; in tal modo è possibile somministrare valori di energia in maniera differente, personalizzando il trattamento. Inoltre la strumentazione dovrebbe garantire l’assenza di fenomeni di accumulo termico e quindi di danno.
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