LA SPONDILITE ANCHILOSANTE
La Spondilite Anchilosante (SpA) è tra le spondiloartriti la patologia più comune e con il decorso più severo.
La Spondilite Anchilosante è una malattia reumatica infiammatoria cronica che coinvolge prevalentemente il rachide e le articolazioni sacroiliache. Tale condizione è responsabile di dolore lombare, rigidità e progressiva riduzione della capacità funzionale del rachide con gravi conseguenze sugli aspetti socio-economici (1). Nel gruppo delle malattie reumatiche infiammatorie, la Spondilite Anchilosante è la diagnosi più comune dopo l’Artrite Reumatoide. La sua prevalenza è stata a lungo sottostimata.
La Spondilite Anchilosante e le Spondiloartriti Indifferenziate (SA) sono i sottogruppi più comuni nei paesi occidentali, con una prevalenza compresa tra 0.2 e 1.2 % (2).
La Spondilite Anchilosante ha un’incidenza 3 volte maggiore nel sesso maschile ed esordisce in genere in soggetti giovani con età compresa tra i 20 e i 40 anni. È 10-20 volte più frequente in parenti di primo grado di pazienti con questa patologia, rispetto alla popolazione generale e l’aumentata prevalenza dell’antigene tissutale HLA-B27 nei bianchi o HLA-B7 nei neri, suggerisce una predisposizione genetica, benché fattori ambientali possano svolgere un ruolo determinante nell’esordio. Si stima che il rischio potenziale di sviluppare la Spondilite Anchilosante, per individui con HLA-B27 positivi, è di circa il 20%. E’ la patologia umana con la più forte associazione mai descritta con un antigene HLA: esso è rilevabile in oltre il 90% dei pazienti portatori di Spondilite Anchilosante.
QUADRO CLINICO
Il sintomo d’esordio più frequente è la lombalgia (mal di schiena), prevalentemente notturna durante il riposo, che migliora con il movimento, soprattutto nelle fasi iniziali della malattia. Il paziente descrive il dolore lombare come “fastidio”, “peso”, “fasciatura”, “senso di costrizione” di intensità variabile e mal localizzato. Raramente il dolore è “acuto” o “trafittivo”. Nella maggior parte dei casi il dolore è irradiato alla natica e comunque in una vasta zona del bacino.
Esso è espressione di un processo flogistico che, parte dall’osso sub-periosteo e si estende alle entesi e ai punti di ancoraggio delle strutture ligamentose delle sacro-iliache e dei corpi vertebrali. Il sonno è spesso disturbato dal dolore e il paziente è costretto ad alzarsi e a compiere movimenti di estensione e flessione del rachide. Talvolta con il movimento ottiene una tale riduzione del sintomo che il sonno può essere ripristinato. Il miglioramento del dolore con il movimento è un elemento distintivo rispetto alle forme degenerative del rachide e dalle discopatie, dove viceversa il movimento e lo sforzo possono rappresentare elementi scatenanti o peggiorativi del dolore. La scarsa intensità del dolore, la difficoltà ad una traduzione verbale univoca del sintomo e della sede, i frequenti periodi di spontaneo miglioramento che sono possibili all’esordio e la sottovalutazione del sintomo per la sua grande prevalenza nella popolazione generale, sono i principali responsabili della diagnosi tardiva della Spondilite Anchilosante.
Nelle fasi più evolute della Spondilite Anchilosante la persistenza del processo flogistico si estende a tratti sempre più estesi della colonna e si instaurano calcificazione e ossificazione delle strutture ligamentose e delle entesi con conseguente irreversibile danno dell’anatomia del rachide. Oltre al dolore si verifica quindi una progressiva alterazione della postura del rachide che diviene ipomobile su tutti i piani con riduzione della escursione in flessione, estensione, torsione e lateralità.
La limitazione di questi movimenti viene misurata con opportuni tests dal reumatologo e dal fisiatra a scopo diagnostico e per valutarne le modificazioni durante la terapia medica e riabilitativa.
Il mantenimento di una postura in flessione o inclinata in avanti migliora la lombalgia e lo spasmo dei muscoli paraspinali, pertanto, è comune una cifosi di vario grado. Il paziente viene ad assumere un caratteristico atteggiamento posturale, a seconda del grado di coinvolgimento della colonna. Caratteristiche sono, nel coinvolgimento cervicale, la lateralità dello sguardo e la rotazione di spalle e tronco quando il paziente si deve volgere indietro, a suggerire la scarsa capacità di estensione e torsione del collo, o la iperflessione dell’anca a rachide immobile nel tentativo di cogliere un oggetto da terra. Spiccano la rettilineizzazione del rachide lombare e cervicale con cifosi dorsale (figura 1).
Nei casi in cui si verifica un interessamento diffuso delle strutture costo-vertebrali e/o costo-sternali si può ridurre l’espansibilità toracica con conseguente dispnea e ridotta adattabilità respiratoria allo sforzo. Nelle fasi molto evolute di SA si possono manifestare complicazioni neurologiche come radicoliti o sciatalgie da compressione, fratture o sublussazioni vertebrali, la sindrome della “cauda equina” (impotenza funzionale, incontinenza urinaria notturna, diminuzione dello stimolo alla minzione e alla defecazione, assenza dei riflessi achillei).
Oltre al coinvolgimento assiale possono essere manifeste, fin dall’esordio, particolarmente nei bambini e nelle donne, localizzazioni flogistiche periferiche delle strutture articolari o periarticolari. In una minor parte dei casi il coinvolgimento artritico periferico può manifestarsi clinicamente in anticipo rispetto all’impegno assiale. Sebbene in misura minore rispetto alle altre spondiloartriti sieronegative può essere rilevata una mono-oligoartrite asimmetrica che in genere coinvolge grandi articolazioni, come il ginocchio o la tibio-tarsica.
Caratteristicamente si tratta di una tenosinovite ove spicca il coinvolgimento flogistico della entesi e del tendine. La “tallonite” con tendinite dell’achilleo è di frequente riscontro ed è rilevabile clinicamente e con ecografia. La tendenza alla ossificazione dei punti di inserzione tendinea, osservabile con tradizionale radiologia, può contribuire all’orientamento diagnostico.
In circa 1/3 dei pazienti sono riscontrabili manifestazioni sistemiche che variano da ricorrenti episodi di irite acuta, abitualmente autolimitantesi (uveite anteriore) e raramente tanto gravi da danneggiare la vista, a sintomi aspecifici come febbricola e astenia, perdita di peso e anemia, generalmente ipocromica-microcitica secondaria alla flogosi cronica. Raramente l’uveite anteriore può precedere i sintomi articolari o essere già manifesta all’esordio. Assai meno comuni le manifestazioni cardiovascolari tra cui l’insufficienza aortica, rari episodi di angina, pericardite e anomalie di conduzione all’ECG. L’interessamento polmonare è molto raro (fibrosi del lobo superiore).
Diagnosi
La diagnosi di una forma conclamata di SA in fase flogistica e che abbia già determinato le tipiche alterazioni morfologiche sacroileitiche e del rachide non è difficoltosa.
Le caratteristiche del dolore, la tipica postura del paziente, la presenza dell’antigene HLA B27 e l’incremento degli indici di flogosi, quali la Velocità di Eritro Sedimentazione (VES) e la Proteina C Reattiva (PCR), accanto alla dimostrazione radiologica dei tipici sindesmofiti simmetrici e della calcificazione del ligamento longitudinale anteriore, rendono univoca la diagnosi.
Tuttavia in questa fase di malattia il danno anatomico instauratisi è irreversibile e la disabilità conseguente solo parzialmente recuperabile.
Il problema fondamentale della Spondilite Anchilosante è rappresentato dalla diagnosi tardiva che, non sempre, è imputabile a imperizia o trascuratezza del medico. Al fine di perseguire la diagnosi precoce si rende necessario realizzare un patto di comportamento che, a partire dal paziente, coinvolga il medico di medicina generale e tutte le altre figure assistenziali cui il malato riferisce i primi sintomi. Questa malattia va portata, al pari di altre condizioni reumatiche, ad essere conosciuta, almeno nella sua esistenza perché possa essere sospettata all’emergenza. Va superato il concetto comune che il “mal di schiena” sia sempre una condizione benigna e transitoria che molte persone hanno sperimentato almeno una volta nella vita. Inoltre, soprattutto in questa malattia, deve essere scoraggiata la pratica dell’automedicazione da parte del malato. Infatti la notevole efficacia dei FANS sui sintomi iniziali della SA, può tradursi nel rinvio da parte del paziente del riferimento dei sintomi al proprio medico.
Una buona pratica clinica suggerirebbe di avvalorare i segni clinici dolore persistente, anche se episodico, del rachide, del bacino posteriore e dei talloni, avviando un percorso che passi dalla valorizzazione dell’anamnesi (familiarità o presenza di psoriasi, caratteristiche dell’alvo, concomitanza di infezioni, dolore a riposo, miglioramento con il movimento) alla esecuzione di semplici ed economici esami di laboratorio e strumentali.
Il livello di allerta dovrebbe essere maggiore nei soggetti più giovani ove questi sintomi difficilmente sono ascrivibili con elevata probabilità alle più frequenti patologie degenerative del rachide. Nei soggetti con meno di 40 anni che lamentano rachialgia ricorrente o tendinite recidivante è facilmente ed economicamente ricercabile la presenza di indici laboratoristici di infiammazione (VES e PCR). Al sospetto diagnostico dovrebbe conseguire il riferimento al reumatologo che provvederà alla accurata rilevazione del grado di coinvolgimento del rachide e delle articolazioni periferiche, procedendo inoltre alla diagnosi differenziale. La ricerca del fenotipo HLA B27 e le indagini strumentali radiologiche, per la conferma diagnostica, rappresentano il secondo livello specialistico dell’approccio diagnostico.
La radiologia si conferma importante nella determinazione della diagnosi della SpA. Le alterazioni radiologiche, specie in fase avanzata della malattia, sono tipiche e comprendono quadri di sacroileite mono o bilaterale, erosioni e sclerosi ossea reattiva (opacità dell’osso subcondrale) che risulta generalmente più evidente sul versante iliaco dell’articolazione. Caratteristiche dello scheletro assiale sono le alterazioni determinate dalla flogosi degli strati superficiali dell’anulus fibrosus, nelle sedi di inserzione ai margini dei corpi vertebrali con induzione di una sclerosi ossea reattiva (“angoli splendenti”) ed il conseguente riassorbimento osseo (erosioni).
Al termine di questo processo il corpo vertebrale tende ad assumere l’aspetto della vertebra “squadrata” (radiogrammi in proiezione latero-laterale); pertanto si assiste alla graduale formazione di “ponti” ossei intervertebrali chiamati sindesmofiti.
Alterazioni di tipo infiammatorio coinvolgono spesso anche le articolazioni interapofisarie che a loro volta vanno incontro ad anchilosi; il tutto può essere complicato dalla ossificazione dei legamenti interspinosi. Nel loro complesso, queste modificazioni, sono responsabili dell’anchilosi completa della colonna (“colonna a canna di bamboo”) che si manifesta soprattutto in pazienti con spondilite di lunga durata (oltre 7 anni) ed in stretta dipendenza all’aggressività della malattia stessa. L’osteoporosi della colonna, sebbene compaia più frequentemente in pazienti malati da lungo tempo, si può anche sviluppare nelle fasi precoci.
Il coinvolgimento flogistico delle articolazioni costo-vertebrali può determinare una riduzione della mobilità della gabbia toracica con deficit restrittivo della meccanica respiratoria, documentabile con prove spirometriche di funzione respiratoria.
La sacroileite, spesso bilaterale, è la localizzazione flogistica che compare nelle fasi più precoci di malattia. Con la radiologia convenzionale una sacroileite iniziale non è riconoscibile. La Risonanza Magnetica si è dimostrata superiore, nelle fasi iniziali di sacroileite, nell’evidenziare il tipico edema dell’osso subcondrale, ad avvalorare il sospetto clinico del dolore tipicamente irradiato alla natica e al dolore acuto evocato dalla pressione sulle rime articolari. Posta la diagnosi di SpA lo studio, mediante ecografia, del cuore può dimostrare le alterazioni dell’anulus della valvola aortica.
Terapia
La costante esecuzione di un corretto esercizio fisico e l’impiego di Farmaci Anti-infiammatori Non Steroidei (FANS) rappresentano l’approccio più corretto alla gestione del malato con Spondilite Anchilosante (4).
Gli esercizi fisici, impartiti mediante programmi educazionali da esperti fisioterapisti, devono essere eseguiti dal paziente quotidianamente al proprio domicilio.
L’indometacina, il diclofenac, l’ibuprofene, il ketoprofene, il naprossene e gli inibitori selettivi della COX-2 sono, tra i FANS, i più efficaci e maggiormente utilizzati. Le molecole appartenenti a questa grande famiglia di farmaci sono ragionevolmente tutte utilizzabili, a dosaggi variabili, nel tentativo di conservare un accettabile rapporto tra efficacia e i potenziali (e/o reali) effetti tossici. L’impiego dei corticosteroidi e dei farmaci anti-reumatici (DMARDs), quali la Sulfasalazina, il Methotrexate e la Leflunomide, vengono impiegati nelle forme maggiormente aggressive ed evolutive, con importante componente flogistica, nonostante molti studi controllati non ne abbiano dimostrato la capacità di interferire con l’evoluzione del danno spondilitico, a differenza di quanto osservato nella AR.
I DMARDs sono maggiormente attivi nelle forme di SpA con coinvolgimento artritico periferico.
La terapia della SpA si è recentemente arricchita di nuovi farmaci che si stanno dimostrando in grado di sopprimere la flogosi e prevenire l’evoluzione del danno articolare.
La riabilitazione nella Spondilite Anchilosante
Lo scopo del trattamento riabilitativo e fisioterapico è quello di ridurre il dolore, mantenere e se è possibile recuperare la funzionalità articolare perduta, prevenire e rallentare l’evoluzione in anchilosi, educare il malato ad una presa di coscienza della sua patologia per fargli adottare corrette norme di vita igienica, di ergonomia ed economia articolare. Nel suo insieme il programma riabilitativo può essere attuato nella fase acuta in regime di degenza e nelle forme sub-acute e croniche tramite ricovero in DH o in regime ambulatoriale e mediante “consegne terapeutiche” di esercizi da effettuare a domicilio come auto-trattamento. Lo scopo è quello di creare un vero percorso riabilitativo continuo in cui il paziente possa, sotto stretto controllo specialistico, diventare il protagonista del proprio iter terapeutico.

Bibliografia
1. Sieper J; Braun J; Rudwaleit M; Boonen A; Zink A – Ankylosing spondylitis: an overview – Ann Rheum Dis 2002 Dec;61 Suppl 3:1108-18
2. Braun J, Bollow M, Remlinger G, Eggens U, Rudwaleit M, Distler A, et al. Prevalence of spondylarthropathies in HLA–B27 positive and negative blood donors. Arthritis Rheum 1998;41:58–67.
3. Braun J; Baraliakos X; Golder W; Brandt J; Rudwaleit M; Listing J; Bollow M; Sieper J; Van Der Heijde D – Magnetic resonance imaging examinations of the spine in patients with ankylosing spondylitis, before and after successful therapy with infliximab: evaluation of a new scoring system – Arthritis Rheum 2003 Apr;48 (4):1126-36
4. Dougados M, Dijkmans B, Khan M, Maksymowych W, van der Linden S, Brandt J. Conventional treatments for ankylosing spondylitis. Ann Rheum Dis 2002;61 Suppl 3:iii40–50.
Fonte: Artriti.it