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LA SPALLA INSTABILE

Introduzione

La Spalla instabile è una condizione patologica che si manifesta con dolore associato ad un eccessivo spostamento della testa omerale nella glenoide durante il movimento attivo della spalla (1). Non bisogna confondere la lassità con l’instabilità: la lassità è rappresentata da una passiva traslazione della testa omerale nella glenoide che non si associa a dolore. È presente in vario grado in una spalla normale, è asintomatica ed è richiesta per consentire un fisiologico movimento gleno-omerale senza restrizioni. Il grado di lassità può essere condizionato dall’età, dal sesso, da fattori congeniti, ecc (1,9).
La lassità, a sua volta, può rappresentare un fattore di rischio per lo sviluppo di una instabilità clinica.

Lassità (1): eccesso di mobilità che mantiene stabile il centro di rotazione all’interno del bordo glenoideo.

Instabilità (1,9): eccesso di mobilità che non mantiene stabile il centro di rotazione portandolo all’esterno del bordo glenoideo. Si manifesta con diversi sintomi soggettivi (come dolore, affaticabilità).

Determinanti anatomici della stabilità di spalla
Le articolazioni del corpo possiedono degli elementi di stabilizzazione articolare che si dividono in due principali categorie: stabilizzatori passivi e stabilizzatori attivi. Entrambi partecipano al mantenimento della stabilità statica e dinamica dell’articolazione (1,7,9,11,12). Il deficit funzionale di uno solo di questi componenti non è sufficiente per l’insorgenza di una instabilità clinica. Spesso il paziente, che possiede una carenza delle strutture statiche, lamenta il sintomo del mantenimento di posizioni passive o nel raggiungimento attivo di movimenti di grande ampiezza (durante il sonno o nelle prime fasi del risveglio, in stazione eretta con braccio lungo il fianco, in appoggio passivo ad un sostegno con mano e gomito, durante il raggiungimento della massima ampiezza del movimento mantenuto in forma attiva o passiva) (1). L’attivazione muscolare e la riduzione del range di movimento producono una attenuazione dei sintomi o una sensazione di beneficio (1).
Stabilizzatori statici: le componenti articolari, periarticolari ed i tessuti molli hanno il compito di garantire la stabilità “statica” della spalla limitando le traslazioni e le rotazioni della testa omerale nella glenoide.
Stabilizzatori dinamici: sono rappresentati dai muscoli periarticolari della cuffia, dal capo lungo del bicipite, dal deltoide (lussante e a 90° stabilizzante), dal trapezio inferiore e dal gran dentato. Garantita da tale muscoli, è un elemento cruciale anche la coordinazione tra movimenti della scapola e movimenti dell’omero (3,6,8). Un buon controllo scapolare, quindi, è fondamentale nella stabilità di spalla (Dott. Di Giacomo, Chirurgo Ortopedico). Il tutto è regolato dal sistema nervoso centrale.
Gli stabilizzatori statici possono essere influenzati da mezzi chirurgici, non dalla riabilitazione; tuttavia gli stabilizzatori dinamici possono essere profondamente influenzati da un corretto e selettivo programma riabilitativo (10,13).
Il rinforzo della muscolatura sopra citata è, infatti, alla base di un qualsiasi programma riabilitativo per l’instabilità di spalla (12,13).
FATTORI STATICI (9,11)

Versione glenoidea: in posizione addotta, con il braccio sospeso al fianco, la scapola è posta frontalmente e ruotata anteriormente di 30° sulla parete toracica. È anche inclinata di 3° verso l’alto in rapporto al piano trasverso e di 20° in avanti in rapporto al piano sagittale. In generale la glenoide raggiunge in media un’inclinazione superiore a 5° ed ha un grado di versione nel piano trasverso da 7° di retroversione a 10° di antiversione. L’eccesso di retroversione o antiversione possono favorire l’instabilità. Clinicamente l’eccessiva versione glenoidea, come fattore primario che contribuirebbe all’instabilità, è limitato ai casi di instabilità posteriore (9) .

Versione omerale: l’omero appare avvolto longitudinalmente a spirale su sé stesso, tantoché la superficie della testa omerale è inclinata dorsalmente e in retroversione di circa 20° rispetto all’asse diafisario (angolo di inclinazione). L’asse longitudinale dell’omero e quello della testa formano un angolo di circa 130°. Una torsione omerale anormale (che superi i 30°-40°) diminuisce la capacità di stabilità dinamica ed è spesso il risultato di un inadeguato consolidamento di fratture o di anomalie riguardanti lo sviluppo (9).

Congruenza articolare: essa è data dal reciproco rapporto di grandezza tra le due superfici articolari, l’indice gleno-omerale, solitamente 1:4. Le dimensioni medie, che sono rispettivamente 35 mm e 25 mm per la glenoide e 48 mm e 45 mm per la testa omerale (dimensioni medie verticali e trasverse), appaiono fortemente discordanti ed in particolare la discordanza dell’area di superficie è probabilmente più importante come fattore predisponente l’instabilità rispetto all’incongruenza articolare. Ovviamente maggiore è l’indice gleno-omerale, cioè quanto è più grande la glenoide, tanto maggiore sarà la stabilità articolare (Saha 1971). Se la fossa glenoidea risulta molto avvallata e con un raggio di curvatura che si avvicini a quello della testa omerale, il bordo periferico ne risulterà più rilevato e quindi più continente (Saha 1967). Di fatto le superfici articolari della testa omerale e della glenoide sono quasi perfettamente combacianti, con una congruenza entro i 3 mm aumentata dalla presenza del cercine glenoideo (9,11).

Cercine glenoideo: struttura fibrocartilaginea periglenoidea spessa 4-6 mm in grado di favorire la stabilità ossea della gleno-omerale inserendosi strettamente alla glenoide al di sotto del suo equatore. Il cercine contribuisce alla stabilità attraverso tre meccanismi (9):
1. Agisce come bordo fibrocartilagineo attorno alla glenoide alla quale sono ancorate le strutture capsulo-legamentose;
2. Aumenta la concavità della fossa glenoidea in media di 9 mm nel piano supero-inferiore e di 5 mm nel piano antero-posteriore. La mancanza del cercine, come avviene nella lesione di Bankart, può far diminuire la profondità della cavità glenoidea di oltre il 50 % predisponendo la spalla ad instabilità;
3. Aumenta la stabilità articolare mediante l’aumento dell’area di superficie di contatto per la testa omerale, diminuendo l’incongruenza articolare.

La patologia più comune che colpisce il cercine è una lesione di Bankart, considerata essenziale nel determinismo dell’instabilità articolare: funzionalmente tale lesione rappresenta un distacco sottoequatoriale del cercine, cioè viene a mancare il punto di ancoraggio del legamento gleno-omerale inferiore e medio sulla rima glenoidea, diminuendo la profondità della glenoide (10).
– Pressione intra-articolare negativa: rappresenta un fattore stabilizzante la gleno-omerale. Tale forza agisce di continuo contrastando la forza di gravità. Il peso del braccio, che tenderebbe a sublussare inferiormente la testa omerale rispetto alla glenoide, è contrastato da tale pressione o effetto “vuoto” creato da uno spazio articolare sigillato (9,11,14). Un’iperlassità legamentosa, o tutte le patologie che ledano la capsula articolare o il cercine, provocano un’alterazione di tale meccanismo pressorio con conseguente riduzione degli effetti costrittivi della pressione e quindi diminuzione della stabilità omerale. L’importanza dell’effetto della pressione intra-articolare negativa sulla limitazione della mobilità articolare dipende dalla posizione del braccio e dall’attività muscolare. In una spalla con capsula lassa o di volume articolare aumentato, la testa omerale potrà traslare inferiormente fino a quando la pressione negativa è sufficiente a contrastarne un’ulteriore traslazione. In una spalla con lesione capsulare o difetto capsulare nell’intervallo dei rotatori, il volume del compartimento articolare trova uno sbocco e viene perso l’effetto vuoto. La testa omerale può ora migrare fino a che la tensione capsulare superiore è in grado di opporsi alla traslazione inferiore (4,9,10).

La spalla instabile

La comparsa di aperture nell’articolazione possono essere causa di una sublussazione inferiore (Warner e coll.)

La spalla instabile

Strutture capsulo-ligamentose:
(Figura tratta da: Frank H. Netter, M.D.,(2011), “Netter, Atlante di Anatomia Umana”, Elsevier, Milano)
Capsula articolare: assai larga, possiede una capacità variabile da 15 a 35 ml. Si inserisce sul contorno della scapola a circondare il labbro glenoideo. Superiormente incorpora il tubercolo sovraglenoideo da cui parte il capo lungo del bicipite (CLB) che risulta pertanto intracapsulare; inferiormente invece il tubercolo sottoglenoideo viene escluso. È composta da uno strato di tessuto di spessore variabile, con distinti ispessimenti che costituiscono i legamenti. L’artroscopia ha evidenziato la notevole variabilità in volume e aspetto di tali legamenti (9,15). La qualità della traslazione passiva della testa omerale all’interno della glenoide è correlata sia alla posizione dell’arto sia al volume di tali legamenti. L’ampia escursione della testa omerale in particolare nei movimenti di abduzione e rotazione esterna è resa possibile dalla presenza di due importanti recessi capsulari: recesso glenoideo anteriore: si presenta lasso in intrarotazione mentre si tende in rotazione esterna; recesso ascellare: si presenta deteso ad arto addotto mentre è in tensione ad arto abdotto.
Normalmente, la capsula articolare con annesso apparato legamentoso rimane lassa durante gli archi di movimenti intermedi mentre aumenta progressivamente la tensione avvicinandosi ai gradi estremi di movimenti, garantendo quindi la massima stabilità a fine range.
La tipica conformazione anatomica della spalla la rende meno protetta sul versante anteriore rispetto a quello posteriore, dove la componente muscolare è sicuramente prevalente. La capsula si presenta, infatti, lassa e sottile ad eccezione della porzione antero-superiore, dove è rinforzata dai legamenti gleno-omerali e dal legamento coraco-omerale (2,3,9,11). Nella posizione anatomica di 0° di abduzione, con arto superiore pendente lungo il tronco, la muscolatura risulta fondamentalmente inattiva (anche al controllo EMG) e la stabilità è assicurata dal legamento coraco-omerale e dal legamento gleno-omerale superiore, da considerare i “veri e propri legamenti sospensori della spalla” (Bazant 1959). Il legamento gleno-omerale medio è lasso in questa posizione ed entra in tensione solo nel movimento di rotazione esterna (5).
Invece abducendo l’arto, è essenzialmente quello inferiore a tendersi e controllare gli spostamenti antero inferiori della testa omerale (5).
Legamento coraco-omerale: può essere considerato il legamento “sospensore” dell’omero, opponendosi al peso dell’arto e coadiuvando in tale azione l’attività del muscolo sovraspinato e del tendine del CLB (2,8,9). Controlla anche l’eccessiva risalita della testa omerale. Tale legamento è biomeccanicamente importante per la stabilità dello GO: possiede la rigidità e la capacità di carico necessarie per stabilizzare staticamente la testa omerale nella glenoide (9).
Legamenti gleno-omerali: posti anteriormente alla capsula articolare, sono distinti in tre fasci: il superiore, il medio e l’inferiore (2). Rinforzano la componente anteriore ed inferiore della capsula articolare ed a questa sono intimamente aderenti. In particolare il fascio superiore offre stabilità contro la traslazione in avanti, con arto in rotazione esterna e abduzione inferiore a 90°. Il fascio inferiore, invece, è lo stabilizzatore anteriore più importante con la spalla a 90° di abduzione e rotazione esterna, la posizione meno stabile della spalla (9,11). Nel complesso i legamenti, oltre che fungere da protezione sul versante anteriore concorrono a stabilizzare la testa nella glenoide limitandone la traslazione inferiore e la rotazione esterna a braccio addotto, e la traslazione posteriore quando la spalla è in posizione di flessione anteriore, adduzione e rotazione interna (9,11).

La spalla instabile

FATTORI DINAMICI
La stabilità di spalla è anche garantita da elementi attivi quali i muscoli periarticolari, il bicipite brachiale, il deltoide che si inseriscono a livello della testa omerale, avvolgendola. I muscoli della cuffia in particolare, promuovendo la compressione della testa omerale nella glena, fungono da stabilizzatori locali dell’articolazione glenoomerale (8,9). La forza della cuffia dei rotatori è pertanto il punto chiave per la stabilità gleno-omerale dinamica (7).

Cuffia dei rotatori: è costituita da quattro muscoli: sovraspinato, sottospinoso, sottoscapolare, piccolo rotondo. Originano dalla scapola e i loro tendini si fondono con la sottostante capsula gleno-omerale nei loro punti di inserzione sulle tuberosità omerali (2,3). Il CLB è considerato parte funzionale della cuffia dei rotatori nel mantenere la centratura della testa omerale nella glenoide (16). I muscoli della cuffia svolgono tre funzioni principali (8,9,11):
a) Partecipano attivamente nei movimenti della spalla su tutti i piani contrastando la testa omerale;
b) Comprimono la testa omerale contro la cavità glenoidea;
c) Costituiscono un meccanismo di bilanciamento articolare.

Il ritmo scapolo-toracico e la stabilità dinamica sono garantiti da (6):
– Muscoli scapolari (trapezio, dentato, romboidi, elevatore della scapola) posizionano la glenoide per avere un orientamento ottimale della stessa con la testa omerale;
– Cuffia dei rotatori:
a) il sovraspinato stabilizza, con la sua tensione, l’omero in senso supero-inferiore; tale funzione è garantita anche dalla sua azione di “cuscinetto spaziatore” tra l’arco coraco-acromiale e la testa dell’omero (1). Questo tessuto molle evita il contatto diretto tra le due superfici ossee;
b) il sottospinato svolge un’azione di depressore della testa omerale e coapta la testa omerale alla glena comprimendola anteriormente (1);
c) il piccolo rotondo svolge un’azione di depressore della testa omerale e contribuisce a coaptare la superficie della testa dell’omero sulla glena (1);
d) il sottoscapolare è il più importante tra gli stabilizzatori dinamici della testa omerale in senso anteriore. Dalla posizione di braccio addotto deprime e coapta la testa omerale nella cavità glenoidea; insieme al piccolo rotondo, abbassa e retropone la testa dell’omero (1).
– Deltoide, gran pettorale e gran dorsale forniscono la forza necessaria al movimento su tutti i piani.
Tutti i muscoli periarticolari possono diventare anche muscoli di movimento, e tra questi i principali da considerare sono (1,9,17):
a) Il deltoide: i fasci anteriori flettono e/o ruotano internamente l’omero, insieme al muscolo sottoscapolare contribuiscono a stabilizzare anteriormente l’omero; i fasci medi abducono il braccio e trazionano la testa omerale superiormente verso la volta acromiale, contribuendo alla stabilità in senso supero-inferiore dell’articolazione gleno-omerale; i fasci posteriori estendono e fanno ruotare esternamente l’omero; insieme al muscolo sottospinato, contribuiscono a stabilizzare posteriormente l’omero.
b) Il sottospinoso: è il più potente muscolo rotatore esterno, fornendo il 60% della forza in rotazione. Quando l’arto superiore si trova in posizione di abduzione, stabilizza l’omero posteriormente. Lavorando in sinergia con il muscolosovraspinato, permette lo svincolo del trochite al di sotto dell’acromion, intorno ai 90° di elevazione/abduzione.
c) Il sottoscapolare: è il principale muscolo rotatore interno dell’omero;
d) Il sovraspinato: partecipa ai primi gradi di abduzione insieme al deltoide; al tempo stesso è in grado di garantire, insieme al sottospinato e al sottoscapolare, un’abduzione completa, pari a quella sviluppata dal deltoide; contribuisce, anche se in minima parte, alla rotazione esterna; permette lo svincolo, attorno ai 90° di elevazione-abduzione, del trochite omerale al di sotto della volta acromiale, insieme all’azione sinergica del muscolo sottospinoso;
e) Il piccolo rotondo: la sua azione di muscolo extrarotatore si sviluppa progressivamente con l’aumento dell’abduzione del braccio e raggiunge il massimo a 90° di abduzione dell’omero.
I muscoli di stabilizzazione possono essere distinti in continui, complementari ed occasionali (9,17):
– Stabilizzatore continuo: sovraspinato, considerato l’unico muscolo capace di realizzare tale azione in qualsiasi posizione dell’arto superiore (17). Tale muscolo svolge un’azione fondamentale nel mantenere abbassata e centrata la testa omerale nella glena evitandone la sua risalita, durante la contrazione del deltoide. In particolare, il movimento di abduzione può realizzarsi armonicamente solo se la coppia deltoide-sovraspinato agisce in sinergia: il deltoide assicura la rotazione della testa, mente il sovraspinato ne assicura il centramento con abbassamento della glena;
– Stabilizzatore complementare: muscolo sottospinato e muscolo sottoscapolare compiono la loro azione stabilizzatrice controllando lo spostamento della testa omerale nella glena, in avanti o indietro, nei movimenti di abduzione e di intra ed extra rotazione. Tali muscoli possono sostituirsi al sovraspinoso nei casi di ampia lacerazione di cuffia (4,10,17);
– Stabilizzatore occasionale: muscolo deltoide, CLB; questi muscoli divengono particolarmente importanti in tutte le funzioni compiute con l’arto in abduzione e contro resistenza. In queste situazioni il deltoide, con la sua massa muscolare, realizza il movimento e coadiuva il sovraspinoso nel ruolo di stabilizzatore. Anche il muscolo bicipite, utilizzando il decorso e l’inserzione sovra-glenoidea del suo capo lungo, può realizzare una stabilizzazione occasionale (7,17).

Fenomeno Concavity-Compression (8,17): tale binomio descrive bene il meccanismo di stabilità di spalla. Da un lato la cuffia dei rotatori è intesa come fenomeno di stabilizzazione attiva (compression), dall’altro il labbro glenoideo è inteso come fenomeno di stabilizzazione passiva, garantito dalla morfologia della glena (concavity). Sia con una diminuzione della concavity cioè del labbro, sia con una diminuzione della forza di compressione (per esempio a causa della rottura di cuffia) sarà necessaria una forza minore per lussare la spalla poiché sono stati lesi i determinanti di stabilizzazione.
Più forte sarà la cuffia più forte sarà la stabilità gleno-omerale. Dal punto di vista riabilitativo, per migliorare la stabilità di spalla, occorre lavorare soprattutto sulla cuffia dei rotatori, poiché sugli elementi stabilizzanti passivi può agire solo la chirurgia (4,10,12,18).
La stabilità dinamica dell’articolazione GO è ottenuta mediante la contrazione attiva della cuffia dei rotatori e del CLB (4,9,17). In particolare la stabilità è garantita da tre meccanismi:
1. Compressione articolare delle contrapposte superfici concavo-convesse;
2. Contrazione sinergica e coordinata dei muscoli della cuffia dei rotatori, che agiscono per dirigere la testa omerale all’interno della glenoide nelle differenti posizioni di rotazione del braccio;
3. Dinamizzazione dei legamenti gleno-omerali mediante le inserzioni dirette dei tendini della cuffia.
Effetto della compressione articolare (9,17): tale compressione, fornita dalla contrazione della cuffia e dal CLB, incrementa la stabilità dell’articolazione aumentando l’accoppiamento congruente della testa nella glenoide. La conseguenza clinica di un azione debole o inefficace della cuffia, è un aumento dei gradi di dislocazione della testa omerale sulla glenoide durante il movimento attivo della spalla (4,9).
Dinamizzazione legamentosa (9,17): i legamenti gleno-omerali e la capsula sono relativamente lassi nel grado intermedio di rotazione della spalla ed entrano in funzione solo negli ultimi gradi per limitare l’eccessiva traslazione e rotazione della testa omerale all’interno della glenoide. Ma poiché i tendini della cuffia trovano inserzione a livello dell’apparato legamentoso, è possibile che durante il movimento attivo di spalla la capsula ed i legamenti stessi possano essere dinamizzati, o posti sotto tensione mediante la contrazione della cuffia.
Cinematica: effetti del movimento scapolo-toracico (6,9,17):
Fondamentale determinante della stabilità di spalla è la scapola e la sua corretta posizione nei movimenti dell’omero. Le articolazioni gleno-omerale e scapolo-toracica devono funzionare in modo normale, coordinato ed intercalato affinché il movimento e la stabilità GO siano normali. Se la scapola non ruota in modo adeguato durante la rotazione omerale, la glenoide non si troverà in posizione di fornire una piattaforma stabile nella quale la testa dell’omero possa ruotare. Ciò potrebbe aumentare la tensione legamentosa, causare eventuali compensi e alterazioni nella dinamica muscolare ed infine contribuire all’instabilità. Questo aspetto risulta importante anche nella riabilitazione, dove una valutazione della scapola e dei suoi movimenti dovrebbe sempre rientrare nella valutazione clinica in caso di sospetta instabilità (4,6,9).
Considerazioni biomeccaniche e anatomiche:
La stabilità di spalla è garantita in modo strettamente sinergico da:
1. Strutture passive (pressione intra-articolare negativa, complesso capsulo-labrale e legamentoso);
2. Strutture attive (sinergie della cuffia dei rotatori ed azione del CLB);
3. Sistema nervoso di controllo (componente afferente o propriocezione, e componente efferente o sistema effettore).
L’attività capsulo-legamentosa appare più influente in posizione specifica o “end range-apprenhension position” (60° di abduzione gleno-omerale, 30° di rotazione scapolo-toracica, 0°-30°di rotazione esterna omerale), mentre ai gradi intermedi (mid range:15°-30° di abduzione gleno-omerale sul piano coronale) risulta determinante la stabilizzazione attiva della cuffia dei rotatori, dei muscoli scapolari e del bicipite (8,17).

L’INSTABILITÀ DI SPALLA

L’instabilità di spalla è una condizione morbosa connotata da una notevole variabilità di forme e sintomi (9,14). I progressi segnati dallo studio di questa patologia e i contributi dell’artroscopia ne hanno permesso un inquadramento clinico più specifico, che tuttavia non consente ancora né una classificazione esaustiva e condivisa, né un approccio diagnostico sempre affidabile. In generale tutti gli autori tendono ad associare all’instabilità una sintomatologia caratterizzata da disturbo funzionale, dolore e riduzione del comfort, la cui origine e classificazione variano in relazione ad aspetti anamnestici, direzionali, anatomici, funzionali e clinici. In tale contesto è di comune accordo attribuire la fondamentale attività stabilizzatrice a tre diversi sistemi:
– Sistema passivo (complesso capsulo-labrale e legamentoso, “concavity-compression”, caratteristiche anatomiche);
– Sistema attivo (i muscoli);
– Sistema di controllo neuromotorio (sistema nervoso).

Definizione (9,14)
L’instabilità di spalla è una condizione patologica caratterizzata dall’eccessiva traslazione della testa omerale nella cavità glenoidea durante i movimenti attivi di spalla, ossia una traslazione non voluta della GO avvertita dal paziente, intendendo per traslazione il movimento dell’omero rispetto alla superficie articolare della glenoide. Il sintomo principale associato è il dolore e la perdita di forza dell’arto superiore.
L’instabilità gleno-omerale viene anche definita come: “una condizione clinica nella quale una traslazione indesiderata della testa omerale nella glenoide compromette il comfort e la funzione della spalla” (12).
Fattori statici e dinamici giocano ruoli complessi e cooperativi nel mantenimento della stabilità articolare. Nessun singolo fattore è responsabile della stabilità dell’articolazione gleno-omerale e nessuna singola patologia o lesione causano instabilità clinica. Il contributo che i fattori statici e dinamici danno alla stabilità dipende dalla posizione del braccio e dalla direzione della forza applicata. La spalla può infatti essere soggetta a notevoli livelli di tensione, che dipendono dalle attività specifiche e dalla partecipazione a sport. La probabilità di sviluppare un’instabilità è direttamente collegata al livello di rischio dell’attività e inversamente correlata alla qualità degli stabilizzatori statici e della forza e condizione degli stabilizzatori dinamici (9,14)

Classificazione generale dell’instabilità di spalla
L’instabilità di spalla può essere classificata secondo parametri diversi quali (9,11,14):
– Tempo: instabilità acuta (entro alcune ore o giorni dal trauma) o cronica. Si basa sul momento di formulazione della diagnosi.
– Frequenza: l’evento può essere classificato come primo o principale episodio o come ricorrente.
– Grado: lussazione (perdita completa e permanente dei normali rapporti articolari tra testa omerale e cavità glenoidea dovuta alla lacerazione della capsula articolare e dei legamenti); sublussazione (eccessiva e sintomatica traslazione della testa omerale nella glenoide durante i movimenti di spalla).
– Eziologia: instabilità traumatiche (macrotrauma); atraumatiche; da microtraumatismi ripetuti (acquisite); congenite; da affezioni neuromuscolari.
– Direzione: instabilità anteriori, posteriori, inferiori o una combinazione di queste, multidirezionali o bidirezionali. Generalmente le instabilità unidirezionali sono associate ad un trauma mentre quelle multidirezionali sono atraumatiche.
– In base alla specificità delle strutture lese: lesioni ossee, lesioni capsulari e legamentose, lesioni labrali (Bankart antero-inferiore, ALPSA (anterior labral periosteal sleeve avulsion), SLAP (superior labral anterior to posterior), forme miste (9,10,11,14).
– Volontarietà: instabilità involontaria (gli episodi di lussazione o sublussazione sono al di fuori del controllo volontario del paziente); volontaria (associata a disturbi di tipo psicologico). La diagnosi differenziale in tal caso è fondamentale.
La lussazione gleno-omerale più frequente, vista la debolezza intrinseca della capsula sul versante anteriore, è quella traumatica con direzione antero-inferiore dove l’arto viene sollecitato fortemente in abduzione e rotazione esterna; meno frequente e spesso difficile da diagnosticare è la lussazione traumatica posteriore che prevede una sollecitazione con vettore posteriore su un arto addotto e intraruotato (9,14).

Classificazione eziologica:
 Instabilità traumatica: si verifica in seguito ad un trauma o ad escursioni articolari forzate e comporta la fuoriuscita traumatica della testa omerale dalla cavità glenoidea (lussazione). In genere il trauma lussante è ad arto esteso, abdotto ed extraruotato e, vista la debolezza della capsula sul versante anteriore, la lussazione maggiormente frequente è quella anteriore. Più rara la lussazione posteriore. Nelle lussazioni traumatiche è spesso presente una vera e propria lesione delle strutture anatomiche periarticolari (capsula e legamenti) che hanno il compito di garantire la stabilità della spalla. Spesso queste lesioni sono irreversibili e possono portare o ad un quadro clinico di lussazioni ricorrenti anche in seguito a semplici gesti quotidiani (lussazione ricorrente); oppure ad un quadro clinico caratterizzato dalla sensazione continua che la spalla stia per uscire (sublussazione) provocando dolore e paura (9,10,11,14).
 Instabilità da microtraumi ripetuti: gesti ripetuti e continui spesso in elevazione possono portare a danni articolari localizzati prevalentemente a livello del cercine superiore (SLAP). La lesione SLAP viene in genere trattata in artroscopia (9,10,15).
 Instabilità atraumatica multidirezionale: la spalla in questo quadro patologico non ha stabilità in nessuna direzione ed è potenzialmente propensa alla lussazione e/o sublussazione in tutti i movimenti dell’arto superiore. È frequente in soggetti con lassità costituzionale che cominciano a lamentare sintomi come: dolore, affaticabilità, impossibilità a portare dei pesi (9,11,14).

La spalla instabile

Classificazione secondo la direzione d’instabilità:
– Instabilità anteriore: è sicuramente il tipo più frequente di instabilità della GO, oltre il 90% della lussazioni di spalla è anteriore, di solito con il braccio in abduzione e rotazione esterna. Questa è la posizione “più debole” della GO dal punto di vista biomeccanico ed è appunto la “posizione classica” per l’instabilità anteriore (9,17). Il meccanismo lesionale di solito consiste in uno sforzo di leva indiretto della testa omerale in avanti, con la spalla posta in una combinazione di abduzione e rotazione esterna. L’instabilità anteriore è evidente in caso di lussazione anteriore, quando la testa omerale esce dalla glena in direzione antero-inferiore o anteriore. L’instabilità anteriore recidivante è il problema più frequente dopo una lussazione anteriore acuta e il fattore più significativo che influenza la recidiva è l’età della prima lussazione. I pazienti di età inferiore ai 30 anni hanno un rischio medio del 70% di evoluzione in lussazione recidivante se trattati con un programma conservativo di riabilitazione non specifico e inadeguato (9,13,19). Pazienti che hanno subito una lussazione a seguito di un trauma reagiscono sensibilmente meno alla fisioterapia rispetto a pazienti con instabilità anteriore recidivante atraumatica, rispettivamente il 16% contro l’80% (20). Anche un’ipovalidità dei muscoli stabilizzatori scapolari quali trapezio inferiore, romboidi, gran dentato, può contribuire ad una instabilità anteriore (9,10,11,14).
– Instabilità posteriore: meno frequente, può evidenziarsi spontaneamente o dopo un trauma. Si presenta spesso combinata a un’instabilità anteriore e/o inferiore. In tal caso la direzione di eccessiva traslazione o lussazione è quella postero-inferiore o posteriore. La patologia è spesso rivelata da un movimento volontario del paziente in antepulsione e rotazione interna in grado di produrre la sublussazione, o da una debolezza dolorosa dell’arto superiore in antepulsione-rotazione interna. La diagnosi è possibile se il paziente può volontariamente lussare la propria spalla indietro ed indica che questa lussazione è la causa del suo problema (9,21,22). In questi pazienti la mobilità articolare è normale o esuberante. La forza della rotazione esterna a gomito addotto del corpo è relativamente deficitaria.
– Instabilità multidirezionale: la definizione dell’entità dell’instabilità multidirezionale e la descrizione di un nuovo intervento chirurgico per il suo trattamento da parte di Neer e Foster, costituisce certamente il più grande contributo degli ultimi anni alla chirurgia dell’instabilità di spalla (9). Il termine “instabilità multidirezionale” è stato coniato da Neer: in tale contesto l’attività neuromuscolare legata alla coordinazione del cingolo scapolare e squilibri nella forza muscolare potrebbero essere la causa principale del disturbo. Il quadro clinico raggruppa gli elementi delle differenti instabilità unidirezionali: la direzione di eccessiva traslazione omerale è ampia e nelle diverse direzioni. Tale instabilità si associa spesso ad iperlassità costituzionale, o comunque è spesso la conseguenza di una storia di frequenti lussazioni atraumatiche. Per i soggetti con instabilità multidirezionale è consigliabile un programma riabilitativo completo fondato sul rinforzo dei muscoli stabilizzatori scapolari e sui muscoli della cuffia (13).

Classificazione secondo Minola:

Attualmente una delle classificazioni maggiormente accreditate è quella di Minola (1996) che, tenendo conto sia dei meccanismi anatomici di stabilità articolare, sia del danno anatomico, rappresenta un’utile strumento per classificare tale quadro patologico al fine di proporre un approccio riabilitativo e chirurgico utile e adeguato per affrontare tale problematica (9,11,14).
In tale classificazione si identificano tre principali quadri di instabilità:
– Lussazione traumatica ( T.U.B.S. – Traumatic Unidirectional Bankart Surgery): comprende il quadro patologico di instabilità post-traumatica unidirezionale caratterizzata da dislocazione traumatica della testa omerale. – Le complicanze di una lussazione traumatica possono essere (1):
– Danno neurologico (N.ascellare 35%)
– Danno vascolare (avulsione arteria ascellare)
– Fratture del bordo glenoideo
– Frattura di Hill-Sachs
– Frattura della grande tuberosità
– Lesione di Bankart
– Lesioni della cuffia dei rotatori (sopra i 40 anni, il rischio è del 30%)
Il trattamento elettivo di tale instabilità è sicuramente l’approccio chirurgico volto a restaurare gli elementi anatomici periarticolari coinvolti, seguito da un iter riabilitativo mirato. Se invece è stata verificata l’eventuale assenza o presenza non rilevante di queste lesioni associate dopo il trauma, il trattamento riabilitativo conservativo sarà la strada più indicata (1).
In questo gruppo s’inserisce anche l’instabilità post-traumatica unidirezionale posteriore.
– Instabilità multidirezionale (A.M.B.R.I. – Atraumatic Multidirectional Bilateral Rehabilitation Inferior Capsular Shift): il danno, in tal caso, non è di tipo traumatico ma secondario ad un eccessiva lassità capsulo-ligamentosa costituzionale o ad ipostenia muscolare. In questi pazienti si evidenzia un’instabilità multidirezionale, atraumatica, spesso bilaterale. Sono generalmente presenti segni clinici di lassità capsulo-ligamentosa generalizzata (iperestensione del gomito, segno pollice-avambraccio). I fattori predisponenti tale quadro d’instabilità sono rappresentati da: deformazione plastica (volume capsulare aumentato); detensione dei legamenti gleno-omerali; slargamento/lassità dell’intervallo dei rotatori; lassità congenita.
Il trattamento di questo tipo d’instabilità, vista la natura non traumatica, è di tipo conservativo, ma l’insuccesso della terapia conservativa può creare le condizioni per un intervento chirurgico (Inferior Capsular Shift). Spesso si tratta di quadri patologici al limite tra lassità e instabilità o di instabilità costituzionali secondarie ad anomalie distrettuali o a patologie sistemiche. Quadri clinici “ambigui” tra lassità ed instabilità si riscontrano frequentemente negli sportivi dediti ad attività che prevedono l’utilizzo continuo del braccio al di sopra del capo (Overhead Movement) (9,10,13).
– Instabilità acquisita conseguente a gesti sportivi ripetuti (A.I.O.S. – Acquired Instability Overstress Surgery): si tratta di quadri clinici sfumati caratterizzati da instabilità acquisita minore, da ipersollecitazione (sportiva, lavorativa). Instabilità tipica di giovani sportivi che lavorano con l’arto superiore in attività di elevazione ripetute ed ai massimi gradi di movimento. La continua ripetizione dei gesti tipici del lancio, ad esempio, protratta nel tempo, può determinare un indebolimento delle strutture stabilizzatrici anteriori. Tale deficit favorisce la traslazione anteriore dell’omero durante il gesto di caricamento effettuato nella posizione di abduzione e rotazione esterna. L’alterazione del centro di rotazione dell’omero determina la compressione del tendine del sovraspinato tra il trochite e il margine postero-superiore della glena. È per questo motivo che lo sportivo, all’anamnesi, riferisce la comparsa del sintomo solo durante l’esecuzione della battuta o della schiacciata. Gli sport overhead non solo possono compromettere le strutture stabilizzatrici anteriori, ma, al tempo stesso favorire la perdita di elasticità distrettuale della capsula posteriore: tale retrazione si manifesta con una perdita della rotazione interna passiva. Mentre le strutture passive anteriori sono lasse, quelle posteriori sono anelastiche: l’asimmetria tra le “briglie passive” anteriori e posteriori, accresce l’instabilità anteriore.
L’approccio riabilitativo conservativo è sicuramente il più indicato in tale tipo di quadro clinico e tanto più il trattamento sarà precoce quanto più si eviterà che l’instabilità evolvi da una condizione prettamente disfunzionale ad una lesione organica con necessità chirurgica (9,10,13,23).

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FONTE: Francesca Ricchieri

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