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riabilitazione artopatie degenerative

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L’intervento fisiatrico nelle sindromi artrosiche dell’arto superiore appartiene a una strategia completa, adeguata ed efficace.

L’avvento della medicina fisica e riabilitativa, in particolare negli ultimi anni, ha evidenziato il ruolo, spesso determinante, nel recupero funzionale, soprattutto dopo traumi o interventi chirurgici articolari. Il miglioramento in termini di abilità nella vita quotidiana è oggi misurabile in modo obiettivo e inequivocabile e rende conto del ruolo prezioso dell’intervento riabilitativo, dotato per di più di caratteristiche di incomparabile sicurezza.

La più diffusa estensione delle pratiche riabilitative anche a contesti patologici non chirurgici e soprattutto meno gravi – per esempio nelle artrosi iniziali moderate – apre prospettive di grande attesa sulla prevenzione e sul guadagno di qualità di vita nei decenni successivi.

Dato il ruolo prioritario degli arti superiori nelle attività della vita quotidiana, la conservazione accurata delle funzionalità di questi distretti anatomici appartiene a uno degli impegni medici col più ampio rapporto fra semplicità applicativa e risultato clinico-funzionale.

SPALLA

Artrosi gleno-omerale e sindrome da impingement della spalla

L’artrosi di spalla è una patologia non infrequente nella popolazione anziana, presente nel 20% della popolazione oltre i 65 anni secondo Gorge 1.

Il complesso articolare della spalla è un meccanismo di giunzione complesso: la presenza del legame tra scapola da una parte e rachide e parete toracica dall’altra rende il cingolo scapolare un sistema a catena chiusa, nel quale i movimenti di una componente condizionano i movimenti dell’altra. In età avanzata la mobilità globale della spalla si riduce per la rigidità articolare (Tab. I) e per l’aumento della cifosi dorsale che limita l’elevazione della scapola 1.

TABELLA I
Effetti della rigidità gleno-omerale
  • Dolore
  • Movimenti di compenso
  • Ipoltrofia muscolare
  • Alterazioni posturali e della deambulazione

Il movimento di elevazione dell’arto superiore comporta forze tendenti a fare scivolare la testa omerale verso l’alto, come per sfuggire al contenimento articolare, mentre altre forze tendono a comprimere la testa contro la cavità glenoidea. La combinazione di queste due forze determina effetti pressori diversi a seconda dei gradi di elevazione. A circa 90 gradi di elevazione le forze di spinta verso l’alto cominciano a essere predominanti: se la cuffia dei rotatori non agisce come depressore omerale, si produce un effetto usurante sulla cartilagine proprio a livello della testa omerale e a livello della glena, instaurando così un iniziale processo artrosico.

Ovviamente si tratta di un processo molto lento e graduale (artrosi primaria), che può risentire favorevolmente di adeguati trattamenti fisio-chinesiterapici tanto più efficaci quanto più il quadro artrosico è lieve o moderato. La progressiva erosione della cartilagine articolare gleno-omerale porta però a quadri artrosici sempre più gravi e contro i quali il rimedio fisioterapico risulta meno efficace.

La comparsa di sindromi da impingement della spalla può essere ricondotta a cause immodificabili che interessano direttamente l’articolazione acromioclaveare oppure essere secondaria ad alterazioni muscolari e tendinee, oppure correlata a disordini sistemici (Tabb. II, III).

TABELLA II Cause di impingement primario e secondario
Impingement primario Impingement secondario
  • variazioni morfologiche acromiali
  • Degenerazione tendinea
  • Patologia degenerativa acromiale e articolazione acromioclaveare
  • Retrazione capsulare posteriore
  • Calcificazione del legamento coraco-acromiale
  • Malattie reumatiche
  • Disequilibri muscolari
  • Tendinopatia calcifica
  • Instabilità
  • Rigidità articolare

Negli ultimi anni sono considerevolmente aumentati gli interventi di sostituzione protesica gleno-omerale 1 che hanno evidenziato il ruolo rilevante della riabilitazione postchirurgica. Ma la nostra sollecitazione è diretta soprattutto all’importanza della funzione preventiva dell’azione riabilitativa, in considerazione della crescente diffusione delle patologie degenerative della cuffia dei rotatori che portano spesso a casi di rottura massiva, ormai molto frequenti nella nostra pratica ambulatoriale.

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Disfunzione scapolare come fattore favorente

Osservazioni cliniche suggeriscono che la maggior parte delle sindromi che coinvolgono la spalla originano da disfunzioni nella coordinazione dell’attivazione muscolare e nel controllo del movimento della scapola (disfunzione scapolare), spesso misconosciute, che comportano un possibile sovraccarico della cuffia dei rotatori 2. A questo riguardo, diversi studi sottolineano l’importanza preventiva di una normale cinematica scapolare. Una ridotta stenia degli extrarotatori provoca un minore tilt scapolare posteriore nella fase iniziale di elevazione dell’arto e una maggiore rotazione scapolare nella fase intermedia di elevazione dell’arto 3 .

In letteratura vi sono diversi studi che correlano la spalla dolorosa alla riduzione del tilt della scapola dovuto a un accorciamento del muscolo piccolo pettorale 3-5 . Altri autori come Borstad e Ludewig 6 hanno riscontrato inoltre un incremento della traslazione anteriore dell’omero dovuto sempre al muscolo piccolo pettorale accorciato e una conseguente sintomatologia dolorosa nel movimento di adduzione orizzontale.

Il caso dell’alterato funzionamento scapolare può essere ricondotto a quelle che la terapista americana Shirley Sahrmann, partendo da un modello kinesiopatologico, ha definito come “sindromi da disfunzione del movimento” 7: il termine indica quelle problematiche che precedentemente venivano definite come “disordini muscolo-scheletrici regionali” o che comunemente vengono indicati come disfunzioni muscolo-scheletriche, sindromi miofasciali o sindromi da sovraccarico. Le sindromi da disfunzione del movimento (DSM) sono definite come condizioni di dolore localizzato conseguente all’irritazione del tessuto miofasciale, periarticolare e articolare.

L’origine e la causa del mantenimento di tale irritazione sono riconducibili a traumi meccanici, di piccola entità ma continui. Questi microtraumi sono spesso associati a sovraccarico, inteso come un sovrautilizzo o un carico eccessivo che provoca sollecitazioni che superano la soglia di tolleranza del tessuto, ledendolo.

Un’altra causa di microtrauma tissutale è il mantenimento di posture errate per lunghi periodi. Per il coinvolgimento della spalla, tipico è l’atteggiamento del tratto dorsale del rachide in ipercifosi che predispone alla formazione di trigger point miofasciali periscapolari e del rachide cervicodorsale. Una volta individuata la presenza di una sindrome da disfunzione del movimento, l’obiettivo primario è quello di insegnare al paziente esercizi ben studiati, anche molto semplici, indirizzati alle cause specifiche del dolore. Il fisioterapista e il paziente devono identificare posizioni e attività quotidiane che hanno determinato l’instaurarsi del problema.

La valutazione generale posturologica

La rieducazione funzionale e la correzione degli adattamenti posturali conseguenti a una sindrome dolorosa a carico della spalla sono essenziali per la prevenzione delle recidive.

Un principio imprescindibile nella valutazione fisiatrica generale è quello di considerare sempre la meccanica del corpo nel suo complesso.

Molte sintomatologie dolorose o fenomeni artrosici localizzati sono legati a squilibri posturali spesso inavvertiti o anche misconosciuti all’esame clinico ordinario.

I cingoli articolari che condizionano tutto l’assetto posturale sono quello scapolare e quello pelvico. Tali cingoli tendono a compensare qualsiasi difetto di postura per equilibrare l’assetto globale. La valutazione obiettiva di questi due cingoli è pertanto fondamentale, anche allo scopo di determinare il trattamento kinesiterapico adeguato.

Occorre quindi valutare il corretto allineamento sul piano sagittale, su quello frontale, e su quello orizzontale.

Piano frontale. Valutazione delle linee bipupillare, bitragalica, bisacromiale, bisiliaca, bistiloidea radiale. Il soggetto normale presenta linee parallele e orizzontali.

Occorre considerare se il soggetto è destrimane o mancino, e valutare anche il comparto muscolare corrispondente (Figg. 1, 2).

Piano orizzontale. Valutazione delle rotazioni anteriore o posteriore del cingolo scapolare e pelvico. Il soggetto normale non presenta rotazioni (Fig. 3).

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Interventi conservativi possibili

Ergonomia. Un contributo importante alla correzione di posture errate che generano microtraumi prolungati viene dalla valutazione della postura mantenuta nella postazione di lavoro e dall’attuazione di misure per mantenere una posizione corretta. È ancora molto sottovalutata se non ignorata l’importanza della medicina preventiva lavorativa, affidata a una medicina del lavoro molto spesso di tipo formale o burocratico.

Stretching. Tra le cause di alterato ritmo scapolare, oltre ai noti deficit muscolari, vanno citate le retrazioni muscolari e capsulari. Con un’adeguata valutazione clinica è necessario in fase preventiva riconoscere e correggere queste disfunzioni garantendo così alla cuffia dei rotatori un corretto pattern di attivazione muscolare attraverso esercizi in catena cinetica aperta e chiusa e attraverso l’incremento degli esercizi di stretching capsulare.

A tale proposito è stato osservato che lo sleeper stretch offre risultati migliori rispetto al cross body stretch (Fig. 4) per la maggiore stabilizzazione della scapola offerta dal sostegno di una superficie rigida 8.

Riguardo al muscolo piccolo pettorale, un confronto tra tre diversi tipi di stretching ha evidenziato che un maggiore allungamento del muscolo si ottiene con il corner self stretching unilaterale rispetto all’allungamento manuale passivo 9. Un esempio di questo tipo di esercizio di stretching è illustrato nella Figura 5.

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Idrochinesiterapia. Anche l’idrochinesiterapia va ricordata in questo ambito con la doppia valenza di terapia preventiva e di terapia riabilitativa adeguata a quadri artrosici gleno-omerali gravi e dopo chirurgia.

L’idrochinesiterapia è una metodica riabilitativa attualmente poco usata nonostante i riconosciuti vantaggi in termini di recupero precoce del movimento articolare, ridotta attivazione della cuffia dei rotatori in metodica assistita e possibilità di un recupero precoce della forza in assenza di dolore evocato. L’immersione in acqua produce un effetto positivo significativo al sistema muscolo-scheletrico; infatti durante l’immersione si ha un aumento del lavoro cardiaco attraverso un aumento della frequenza cardiaca, una relativa vasocostrizione splancnica e un aumento dell’afflusso sanguigno a pelle e sistema muscolare. Questo determina chiaramente un aumentato apporto nutritizio al muscolo con un indiscusso vantaggio in termini di lavoro muscolare.

In passato la proposta di trattamento idrochinesiterapico veniva fatta in una fase riabilitativa precoce al fine di potere eseguire gli esercizi proposti con minore dolore. Una review e metanalisi 10 ha però rinnegato questo concetto (dedotto peraltro da pochi studi presenti in letteratura internazionale con un livello di evidenza scarso), mettendo in evidenza che non è dimostrata una riduzione significativa del dolore con esercizi svolti in acqua rispetto agli esercizi “a secco”. Nel 2010 una review di studi randomizzati 11 ha messo in evidenza un piccolo ma significativo vantaggio per quanto riguarda la riduzione del dolore e l’outcome funzionale a breve termine di pazienti con patologie muscolo-scheletriche; tuttavia gli autori concludono che non esiste un consenso generale sull’effettivo guadagno in termini di outcome funzionali a lungo termine.

Interessante invece appare la possibilità di recupero articolare sia in patologie degenerative con una componente di rigidità articolare sia in fase post-operatoria precoce 12. Inoltre occorre sottolineare la favorevole influenza dell’acqua calda sulle proprietà elastiche del collagene, che permette al paziente di eseguire più agevolmente gli esercizi di stretching proposti con maggiore possibilità di recupero del ROM (range of movement). Anche il recupero stenico può avere un vantaggio soprattutto con introduzione di esercizi di facilitazione neuromuscolare propriocettiva: in acqua si ha un indiscusso vantaggio grazie alla riduzione dell’input propriocettivo derivante dalla spinta idrostatica che si oppone alla forza di gravità, oltre a quello legato al “glove effect” proprio dell’acqua.

Onde d’urto, laser, tecar. È indubbia la valenza preventiva delle onde d’urto extracorporee, della laserterapia ad alta potenza e della tecarterapia, che hanno una buona azione biostimolante e di rivascolarizzazione tendinea con un efficace effetto antidolorifico a lungo termine. In particolare le onde d’urto focalizzate eseguite sotto controllo ecografico possono essere utili in pazienti affetti da tendinopatia calcifica 13.

La laserterapia ad alta potenza e la tecarterapia possono risultare utili nei pazienti affetti da tendinopatia non calcifica della cuffia dei rotatori. La nostra esperienza ci porta a dire che l’associazione di queste terapie fisiche con un corretto programma chinesiterapico offre buoni risultati funzionali a distanza, anche se in letteratura mancano studi validati in merito.

Terapia manuale di mobilizzazione passiva. La mobilizzazione passiva dall’articolazione ha mostrato di portare un beneficio nella sindrome da impingement in aggiunta agli esercizi attivi di rinforzo e stretching 14.

Gli esercizi di mobilizzazione passiva secondo Maitland sono utili sia nel controllo del dolore (grado I-II) sia nel recupero funzionale al fine di ampliare il ROM articolare:

• I grado: movimento di piccola ampiezza nel range articolare;

• II grado: movimento di larga ampiezza nel range articolare;

• III grado: movimento di media ampiezza eseguito in presenza di rigidità o al limite del range;

• IV grado: movimento di grande ampiezza eseguito in presenza di rigidità o al limite del range.

Esercizi passivi e attivi per la dinamica della spalla. Il primo obiettivo di un programma di esercizi per migliorare la dinamica della spalla è la stabilizzazione della testa omerale.

Nell’abduzione è particolarmente importante il ruolo della coppia costituita dal deltoide e dai muscoli rotatori: tale sistema centra la testa omerale e ne impedisce il movimento in alto e verso l’esterno.

È importante ricordare, in proposito, che l’immobilizzazione prolungata deve essere evitata anche nelle fasi di dolore acuto, giacché determina un’alterazione funzionalmente sfavorevole del rapporto della coppia deltoide/rotatori.

Allo scopo di migliorare la dinamica sono utili sia esercizi passivi sia esercizi attivi di potenziamento muscolare che il paziente può eseguire anche con l’ausilio di semplici attrezzi, come gli elastici a resistenza progressiva (Fig. 7).

Poche sedute sono sufficienti al fisioterapista per educare il paziente all’esecuzione di esercizi mirati. Un esempio è illustrato nello schema seguente.

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Artrosi gleno omerale con rottura massiva della cuffia: approccio riabilitativo post chirurgico

Davanti a quadri di artropatia da rottura massiva della cuffia dei rotatori, l’approccio fisiochinesiterapico preventivo evidentemente non è più attuabile, ed è necessario allora programmare un approccio riabilitativo di mantenimento della funzionalità globale dell’arto superiore e di riduzione, se possibile, del dolore.

Il primo approccio all’artropatia da rottura massiva della cuffia dei rotatori è sempre di tipo conservativo. Un ciclo di tre o quattro infiltrazioni subacromiali di acido jaluronico sembra ridurre in modo significativo il dolore nel medio e lungo termine 15.

Il paziente con rottura massiva della cuffia dei rotatori presenta un deficit funzionale e/o un dolore persistente.

Scopo del trattamento fisioterapico è in prima istanza, dopo attenta valutazione, valorizzare la presenza di possibili compensi articolari e muscolari che possano essere sfruttati per migliorare la funzione dell’arto superiore nelle attività della vita quotidiana; raramente tuttavia il trattamento fisiochinesiterapico è in grado di modificare a lungo termine la sintomatologia dolorosa descritta dal paziente.

Una tecnica combinata di mobilizzazione articolare e applicazione di kinesiotaping sembra dare maggiori risultati sul recupero articolare rispetto alla sola chinesiterapia 16 in pazienti con lesioni della cuffia dei rotatori.

In accordo con lo specialista ortopedico, può essere proposto al paziente un intervento di sutura parziale della cuffia dei rotatori a scopo antalgico non funzionale. Il programma riabilitativo post-chirurgico è particolarmente delicato e necessita di essere il più possibile personalizzato, in quanto la rottura massiva della cuffia si accompagna sempre a una cattiva qualità tendinea (con scarsa tenuta della sutura) e a un’importante degenerazione adiposa muscolare che pregiudica il recupero stenico post-intervento.

Per questo è importante nella prima fase post-operatoria precoce osservare un adeguato riposo funzionale dell’arto superiore attraverso un’immobilizzazione in tutore (circa 4 settimane), seguita poi da un programma riabilitativo basato solo sul recupero articolare (inizialmente su piano scapolare).

In questa fase può essere importante introdurre nel programma riabilitativo anche delle sedute di idrochinesiterapia, giacché in acqua l’attivazione della cuffia dei rotatori è meno intensa, con una minore tensione anche sulla sutura tendinea 17 .

Alle sedute di idrochinesiterapia possono fare seguire sedute di mobilizzazione articolare a secco iniziando dal recupero di elevazione e abduzione per poi passare anche al recupero delle rotazioni. Il recupero stenico viene introdotto solo dopo avere recuperato un ROM funzionale della spalla, tendendo conto però che la degenerazione grassa presente a livello muscolare limita fortemente il recupero della forza dei rotatori.

In casi di artropatia da rottura massiva irreparabile della cuffia dei rotatori, può essere proposto al paziente un intervento di protesi inversa di spalla. Questo intervento comporta un abbassamento e medializzazione del centro di rotazione della testa omerale con aumento del braccio di leva del deltoide; inoltre l’inversione della sfera porta ad avere uno spostamento del centro di rotazione della spalla distalmente e posteriormente rispetto a quello anatomico con un una migliore attivazione delle tre componenti deltoidee.

Nelle prime 12 settimane post-operatorie c’è un rischio di lussazione protesica soprattutto in adduzione, intrarotazione ed estensione. Per tale motivo il recupero articolare post-intervento deve essere cauto. Il recupero della forza è limitato e incentrato solo su deltoide e muscolatura scapolare.

Particolarmente interessante appare la proposta di Coppola 18 di eseguire il recupero articolare e stenico deltoideo in acqua.

Sindrome da impingement: mobilizzazione passiva associata all’approccio individuale per l’educazione a esercizi attivi specifici

Uno studio considerato paradigmatico sull’utilità della terapia manuale di mobilizzazione passiva nella sindrome da conflitto subacromiale è quello di Senbursa et al. 14.

Gli autori hanno diviso trenta pazienti in due gruppi, uno sottoposto unicamente a esercizi domiciliari di rinforzo e di stretching (muscoli della cuffia dei rotatori, elevatore della scapola, romboide, dentato anteriore), l’altro trattato con 12 sedute di esercizi di mobilizzazione passiva più gli esercizi di rinforzo muscolare e stretching.

I pazienti sono stati valutati per il dolore con VAS, per il ROM con misurazione goniometrica, per la soglia del dolore con algometria. La valutazione funzionale si basava sul test di Neer.

I pazienti di entrambi i gruppi hanno ottenuto un significativo decremento del dolore e un miglioramento della funzionalità articolare, ma con un maggiore beneficio nel gruppo di terapia manuale.

Il ROM è migliorato in flessione, abduzione e rotazione esterna soltanto nel gruppo trattato con terapia manuale.

L’intervento di terapisti esperti e il ricorso a esercizi sotto la supervisione dello specialista sono quindi fattori determinanti – come confermano anche gli autori nelle loro conclusioni – per un miglioramento che include riduzione del dolore, rinforzo muscolare e migliore funzionalità.

L’approccio più semplice, basato su un’adeguata educazione del paziente all’esecuzione di movimenti attivi per il rinforzo e di stretching (con alcune sedute di chinesiterapia gruppo), andrebbe riservato ai casi in cui il range articolare è pressoché completo ed esiste soltanto dolorabilità residua legata ad ipostenia della cuffia.

È molto utile istruire il paziente a effettuare semplici esercizi di mobilizzazione attiva-assistita e di rinforzo della cuffia dei rotatori con elastici.

È inoltre appropriato, per il controllo del dolore, raccomandare al paziente degli esercizi pendolari (Fig. 6): a tronco flesso, abbandonare l’arto e compiere movimenti rotatori in senso orario e antiorario in flessione anteriore per tre minuti.

GOMITO

Sindromi dolorose del gomito

Il gomito svolge un ruolo di mediazione tra tutte quelle variabili di movimento che possono instaurarsi tra la spalla e la mano. Il suo centro di rotazione (articolazioni omeroulnare e omero-radiale) si relaziona infatti con le rotazioni della spalla e consente la massima variabilità ai movimenti di flesso-estensione, mentre il centro di rotazione dell’articolazione radio-ulnare superiore in relazione al polso garantisce la massima adattabilità ai movimenti di pronosupinazione.

Nel suo insieme questo sofisticato meccanismo di azione muscolare agisce anche a livello delle componenti periarticolari instaurando un sistema sinergico che rende possibile attuare tutte le variabili di movimento.

L’incapacità di attivare queste strategie determina una perdita della variabilità del movimento e il conseguente ricorso ai compensi che possono instaurarsi, nel caso della patologia degenerativa del gomito, in seguito a dolore, rigidità articolare, contratture muscolari e ipotrofia muscolare.

L’obiettivo prioritario dell’intervento riabilitativo in questi casi deve permettere al paziente di apprendere le modalità di controllo sugli elementi patologici che hanno determinato l’instaurarsi e l’evolversi dei compensi.

Molto temuta dal riabilitatore è la rigidità del gomito. Le cause possono essere varie: deformità da paralisi, artrosi, ustioni, infezioni, ma soprattutto cause post-traumatiche.

Secondo la definizione dell’American Academy of Orthopedic Surgeons i normali ROM del gomito sono di 0° di estensione e 140° di flessione, 71° di pronazione e 84° di supinazione. Morrey et al. 19 hanno stabilito che i ROM funzionali del gomito richiesti per la maggior parte delle attività basali della vita quotidiana sono una flessione di 100° (compresa tra i 30° e i 140°) e una prono-supinazione 100° (50° pronazione e di 50° di supinazione).

Il trattamento iniziale della rigidità del gomito consiste in esercizi di stretching graduali, controllati dal paziente e diretti dal fisioterapista; possono essere utili applicazioni di calore prima dell’esercizio, così come la tecarterapia, gli ultrasuoni, il massaggio. L’applicazione di ghiaccio andrebbe usata dopo l’esecuzione dell’esercizio.

Altre sindromi dolorose da prendere in considerazione sono quelle a carico delle regioni interne ed esterne del gomito. Secondo un criterio topografico si possono differenziare l’epicondilite e l’epitrocleite: entrambe sono tendinopatie inserzionali con irradiazione periferica che determinano impotenza funzionale.

L’epicondilite è caratterizzata da un’infiammazione a carico dell’inserzione prossimale dei muscoli epicondiloidei.

Si manifesta generalmente tra la IV e V decade di vita con uguale prevalenza nei due sessi e frequentemente a carico dell’arto dominante.

L’ipotesi eziopatogenetica più accettata riconosce come prima causa una microlacerazione localizzata per lo più a livello del tendine dell’estensore radiale breve del carpo o dell’estensore comune delle dita.

La diagnosi differenziale viene fatta con patologie a carico del distretto cervicale, con la sindrome dell’egresso toracico, con patologie intrarticolari del gomito e con le compressioni del nervo radiale al gomito.

Il trattamento nella maggior parte dei casi è conservativo e si basa su alcuni concetti fondamentali:

• messa in scarico delle strutture infiammate mediante utilizzo di tutori;

• aumento della circolazione periferica mediante terapie fisiche;

• allungamento e riallineamento delle fibre collagene di riparazione (stretching);

• lavoro di endurance per indurre un cambiamento bio chimico delle fibre muscolari (rinforzo).

Le onde d’urto focali sembrano essere una valida alternativa nel trattamento dell’epicondilite laterale 20 grazie alla capacità di riduzione del dolore a lungo termine (effetto metaanalgesico stimato di circa 6 mesi, più duraturo rispetto alle terapie fisiche convenzionali).

L’epitrocleite è una tendinopatia inserzionale dei muscoli che originano dall’epitroclea omerale. Si riscontra nei giovani per lo più lavoratori che utilizzano in modo continuativo le mani o negli sportivi, con prevalenza simile nei due sessi, tranne per una forma bilaterale che si riscontra frequentemente nelle casalinghe tra la IV e V decade. L’ipotesi patogenetica più accreditata individua nelle sollecitazioni in valgismo la causa di stress in corrispondenza del pronatore rotondo e del legamento collaterale mediale; è possibile riscontrare inoltre osteofitosi dell’epifisi prossimale dell’ulna con zone calcifiche nel contesto dei tendini.

La terapia è conservativa ed è simile al trattamento fisiochinesiterapico proposto per l’epicondilite.

MANO

Artrosi della mano

L’osteoartrosi è la più comune malattia articolare e spesso coinvolge le articolazioni della mano. Nella popolazione anziana la prevalenza di artrosi sintomatica alle mani è stimata essere del 26% nelle donne e del 13% per gli uomini 21.

Dall’analisi sistematica della letteratura internazionale, appare evidente l’importanza della combinazione di esercizio terapeutico e risparmio articolare attraverso strategie educazionali e uso di tutori 22. Numerosi articoli riportano infatti un incremento della funzionalità globale della mano con un programma combinato di esercizi domiciliari ed educazione al risparmio articolare 23. È stato dimostrato che prescrivere esercizi di rinforzo della muscolatura non produce un aumento effettivo della stenia ma porta comunque a un miglioramento del range articolare, mentre l’esecuzione di esercizi di recupero articolare porta a un recupero della forza durante la prensione 24.

Un programma riabilitativo efficace sembra essere quello proposto nel 2011 da Stukstette 25. Si tratta di un approccio multidisciplinare e multidimensionale al paziente con osteoartrosi della mano in cui appare fondamentale un primo approccio di riconoscimento e gestione del dolore attraverso la limitazione di alcune attività della vita quotidiana: in esso si abbina un programma riabilitativo domiciliare (con esercizi di incremento della forza e della mobilità articolare) all’osservanza di principi di ergonomia (insegnare ai pazienti a usare le grandi articolazioni invece delle piccole articolazioni, coinvolgere più articolazioni nello stesso tempo per ridurre il carico sulle piccole articolazioni, uso di posate e penne adattate per migliorare la presa).

Con un approccio multidisciplinare l’Eular (European League Against Rheumatism) nel 2007 ha definito le raccomandazioni sulle terapie farmacologiche e non farmacologiche per la migliore gestione dell’artrosi della mano 26 da cui emerge tra l’altro uno scarso consenso nell’utilizzo dell’ultrasuonoterapia, della laserterapia antalgica e della Tens. Un ampio consenso multidisciplinare viene dato dall’Eular all’utilizzo dell’applicazione locale di caldo (paraffinoterapia, applicazione di impacchi caldi) prima di svolgere gli esercizi programmati.

Numerosi articoli invece mettono in discussione negli ultimi anni l’uso della laserterapia antalgica a bassa potenza 27 28: esiste troppa disomogeneità nella quantità di energia da erogare e nel tipo di laser applicato, e quindi risulta difficile la standardizzazione della cura e la valutazione della sua efficacia.

Storicamente in Europa esiste una certa superficialità nell’impiego delle terapie fisiche, a cui si ricorre spesso in modo continuativo e indiscriminato senza chiare evidenze scientifiche di supporto. Ciò ha portato a rivedere negli anni l’uso indiscriminato di tali terapie anche ai fini della riduzione della spesa sanitaria attraverso la stesura del progetto riabilitativo individuale.

Dalla nostra esperienza emerge che gli ultrasuoni (soprattutto nella modalità a immersione) hanno ancora un ruolo nel ridurre la sintomatologia dolorosa locale ma con una durata molto ridotta nel tempo. Altre terapie come la tecarterapia e la terapia a onde d’urto extracorporee hanno avuto una certa diffusione negli ultimi anni e sembrano avere un buon impatto nella riduzione della sintomatologia dolorosa locale e, di conseguenza, nell’incremento della funzionalità globale delle mani.

Nella nostra esperienza la tecarterapia con modalità capacitiva sembra essere efficace nella riduzione del dolore e nell’aumento della flessibilità articolare anche se in letteratura mancano evidenze scientificamente riconosciute in merito. Anche le onde d’urto sembrano avere un ruolo nella riduzione della sintomatologia dolorosa in pazienti affetti da rizoartrosi.

Una interessante review sistematica di articoli internazionali 29 porta gli autori a rilevare le seguenti evidenze:

• moderata evidenza di guadagno funzionale a supporto della somministrazione di esercizi domiciliari di incremento della prensione e incremento del ROM;

• moderata evidenza a supporto di somministrazione di esercizi domiciliari sulla riduzione del dolore;

• debole evidenza di efficacia per paraffinoterapia e impacchi di caldo nella riduzione del dolore e nell’incremento funzionale;

• scarsa evidenza di efficacia di laserterapia a bassa potenza nella riduzione del dolore e nell’incremento della funzionalità (con riduzione del dolore paragonabile al placebo);

• moderata-alta evidenza per l’uso di ortesi carpo-metacarpali nella riduzione del dolore e nell’incremento della funzionalità della mano e moderata evidenza di incremento della forza prensile.

L’ortesiologia palmare ha sicuramente un ruolo importante nella riduzione del dolore e del sovraccarico funzionale principalmente delle grandi articolazioni. Secondo la nostra esperienza un uso combinato di terapia fisica e ortesi palmari sembra essere più efficace rispetto al solo utilizzo di terapie fisiche. Egan e Brosseau 30 mettono in discussione la reale efficacia, in termini di riduzione del dolore e incremento della funzionalità globale della mano, dell’utilizzo routinario di splint nell’artrosi carpo-metacarpale. Dati incoraggianti sembrano emergere dalla letteratura internazionale nell’uso dei tutori nella rizoartrosi 31 32 che durante le comuni attività della vita quotidiana sembra consentire una reale riduzione della sintomatologia dolorosa senza interferire con la funzionalità globale della mano (forza nella prensione, destrezza nell’uso delle dita) con un relativo impatto favorevole anche sulla sfera umorale. È bene quindi incoraggiare il paziente all’uso continuativo dei tutori che sembrano essere un reale aiuto nella migliore gestione del dolore articolare cronico.

Una combinazione di esercizi domiciliari, regole di protezione articolare e uso continuativo di splint (sia diurni che notturni) sembrava essere più efficace nella riduzione del dolore e della rigidità articolare oltre che nell’incremento della funzionalità della mano nelle attività della vita quotidiana rispetto alle sole misure di protezione articolare 33.

Ancora controverso è invece l’uso di splint custom-made per il trattamento dell’artrosi delle articolazioni interfalangee distali 34. La riduzione del dolore non sembra compensare l’impedimento funzionale causato dallo splint nelle attività della vita quotidiana; questo porta a un uso breve dello splint (solo durante le ore notturne) con relativo scarso benessere durante le ore diurne.

Bibliografia

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Fonte: GIOT Dott. Maurizio Lopresti

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