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BRUXISMO: ASPETTI EZIOLOGICI, CLINICI E TERAPEUTICI

BRUXISMO

Numerose attività dell’apparato stomatognatico (che esulano dalla masticazione, dalla fonazione e dalla deglutizione) sembrano non avere alcuno scopo funzionale e pertanto vengono definite parafunzioni (1,2). Le attività parafunzionali vengono suddivise in due grandi gruppi:

  • attività parafunzionali da svegli: morsicatio e aspiratio di guance, labbra e lingua, onicofagia, mordere oggetti quali penne, matite o mollette per capelli, titillofagia, svariate abitudini posturali dannose (mantenere la mandibola in determinate posizioni eccentriche durante varie attività, masticazione unilaterale, movimenti mandibolari specifici associati al suonare particolari strumenti come violino e strumenti a fiato, appoggiare la mandibola sulla mano mentre si legge o si guarda la televisione, dormire proni, mantenere il telefono tra la spalla e la mandibola, “posizione di bellezza” nei soggetti con II Classi di Angle); queste attività vengono definite anche abitudini viziate;
  • attività parafunzionali svolte durante il sonno: consistono essenzialmente nel bruxismo.

Le due locuzioni parafunzione da svegli e parafunzione durante il sonno sono da preferire alle ormai vecchie definizioni di parafunzione diurna e parafunzione notturna, perché non necessariamente veglia e sonno corrispondono a giorno e notte (3).

Il bruxismo è stato definito dall’American Sleep Disorders Association (ASDA) come un disordine con movimenti stereotipati, caratterizzati dal digrignamento o dal serramento dei denti durante il sonno (4). Nella dizione di bruxismo rientrano quindi:

  • serramento o clenching (sinonimi: bruxismo statico, centrico o verticale): è caratterizzato da movimenti mandibolari di pochissimi millimetri, con usura dentaria localizzata a livello dei versanti palatali del settore antero-superiore e dei versanti vestibolari antero-inferiori;
  • digrignamento o grinding (sinonimi: bruxismo dinamico, eccentrico od orizzontale): è caratterizzato da ampi movimenti mandibolari in lateralità e protrusione, con maggior usura dei margini incisali dei denti anteriori di entrambe le arcate e del settore vestibolare posteriore (5). Per semplicità, possiamo definire il bruxismo come una parafunzione orale caratterizzata da un’attività ritmica dei muscoli masticatori che causa un contatto forzato delle superfici dentali durante il sonno. Esso è accompagnato da serramento o digrignamento dei denti, che può essere talmente forte da essere udito da terze persone (6).

Epidemiologia

La prevalenza del bruxismo, senza distinzione tra serramento e digrignamento, si attesta tra il 3,7% (7) e il 20% (2), con valori molto differenti tra i vari studi e in base all’età del campione. Secondo Magnusson et al. il bruxismo colpisce mediamente il 10% della popolazione e tende ad aumentare con l’età (8). Questo dato però non viene confermato da altri studi. Infatti Antonio et al. (9) riportano una prevalenza del bruxismo nei bambini compresa tra il 7% e il 15% (soprattutto nel sesso femminile), dato che si discosta da quanto confermato da Knutson (10), secondo cui in bambini sotto gli 11 anni la prevalenza del bruxismo si aggira tra il 14% e il 20%: la prevalenza di solito aumenta tra i 7 e i 10 anni, per poi diminuire e scomparire con l’eruzione della dentatura definitiva. Quindi il bruxismo giovanile sembra una condizione autolimitante che non progredisce necessariamente verso il bruxismo dell’adulto (11).

1. Eziologia

Nonostante la difficoltà nell’interpretazione della letteratura, dovuta per lo più a un persistente disaccordo riguardo alla definizione e alla diagnosi di questo disordine, la maggior parte degli autori sono concordi nell’affermare la natura multifattoriale dell’eziologia del bruxismo. Lobbezoo et al. (12) riconoscono:

  • fattori periferici: rientrano in questa categoria i fattori morfologici;
  • fattori centrali: distinti in fattori patofisiologici e fattori psicologici

Considerando insieme tutte le evidenze scientifiche, Lobbezoo et al. (13) sono arrivati alla conclusione che il bruxismo sembra essere regolato principalmente a livello centrale e non a livello periferico.

1.1 Fattori periferici

Soprattutto in passato, un’opinione diffusa tra gli odontoiatri era che il bruxismo fosse causato da fattori morfologici. Tra questi ricordiamo le discrepanze occlusali – precontatti, iperbilanciamenti (5), overjet e overbite eccessivi o inversi (14) – e le deviazioni nell’anatomia delle strutture ossee della regione oro-facciale. Per molto tempo si è ritenuto che i precontatti e gli iperbilanciamenti scatenassero l’attività parafunzionale tramite la stimolazione, per via riflessa, dei muscoli elevatori della mandibola, indotta dai recettori parodontali (5).

Nel 1985 Williamson (15) affermava che il capo inferiore dello pterigoideo laterale agisce spingendo la mandibola in avanti e medialmente. Se sono persi i contatti dei denti anteriori, di modo che non si riesca ad avere la disclusione dei posteriori, il massetere e lo pterigoideo mediale entrano subito in contrazione e protraggono la mandibola sul lato lavorante durante l’escursione. Ciò impartisce un eccessivo carico ai denti posteriori in direzione laterale e all’articolazione temporo-mandibolare (ATM) durante i movimenti mandibolari ciclici, causando bruxismo.

Gli autori che sostengono la teoria del fattore occlusale vengono definiti da Carlsson e Magnusson “occlusionisti” (2). Tra questi ricordiamo sicuramente Ramfjord (16), che nel 1961 notava come uno dei fattori comunemente presenti nel bruxismo fosse una discrepanza tra la relazione centrica e la massima intercuspidazione, che può causare contrazioni asimmetriche o elevate nei muscoli masseteri e temporali durante la deglutizione. Nello stesso articolo, Ramfjord (16) affermava che il molaggio selettivo eliminava il bruxismo in tutti i pazienti. Lavori recenti, basati su tecniche statistiche più appropriate, hanno messo in dubbio questi dati, basati solo sull’esperienza clinica, sia negli adulti che nei bambini (17). Tuttavia ancora oggi alcuni autori, tra cui Griffin (18), ribadiscono che per trattare adeguatamente il bruxismo bisogna stabilire un’armonia tra la massima intercuspidazione e la relazione centrica. Comunque Manfredini et al. (19), sulla base di una revisione della letteratura, ricordano la persistenza di una mancanza di studi metodologicamente corretti che ci permettano di confutare definitivamente l’importanza del fattore occlusale nell’eziologia del bruxismo. Palla comunque ribadisce che la risposta alla presenza di un’interferenza occlusale è individuale, per quanto riguarda sia le possibili alterazioni dei cicli masticatori sia le variazioni della forza occlusale o l’insorgenza del bruxismo e/o dei segni e sintomi di una mioartropatia. Inoltre questi disturbi, sempre secondo Palla (3), quando subentrano sono normalmente di breve durata.

1.2 Fattori centrali

FATTORI PSICOLOGICI

Numerosi fattori psicologici, tra cui stress e personalità, sono frequentemente menzionati in relazione al bruxismo.

Secondo alcuni autori lo stress rappresenta un aumento di energia che, una volta prodotta dal nostro organismo, deve essere rilasciata assolutamente (20). Le modalità di rilascio sono due: la prima è esterna e avviene tramite urla, imprecazioni, agitazioni, scagliando oggetti o qualsiasi altra manifestazione violenta (tipo gli scatti di ira); nonostante siano molto sgradevoli, queste modalità sono probabilmente le più sane. Il secondo tipo di rilasciamento dell’energia è interno: si possono manifestare allora ulcera gastrica, ipertensione, asma, disturbi cardiaci, cefalee e anche attività muscolari parafunzionali come il bruxismo (21). È stato dimostrato che quest’ultimo tipo di rilasciamento dello stress è di gran lunga il più comune.

Dal punto di vista psicoanalitico, si afferma che l’attività parafunzionale rappresenta una regressione fino alla fase orale dello sviluppo (o il permanere patologico della stessa), nella quale la bocca e la faccia sono usate per sfogare la frustrazione, lo stress e la rabbia (20).

Lo stato emozionale dell’individuo è controllato dall’ipotalamo, dal sistema reticolare e soprattutto dal sistema limbico. L’influenza di questi centri si effettua tramite l’attivazione delle fibre fuso-motorie (e cioè le efferenti gamma), che determinano la contrazione delle fibre muscolari intrafusali. I fusi vengono così sensibilizzati a tal punto che i muscoli possono venir contratti di riflesso in seguito a qualsiasi minimo allungamento muscolare. Si determina così un’iperattività muscolare che, nei casi di particolare tensione emotiva, può portare a digrignamento o serramento dei denti, anche in assenza di qualsiasi tipo di interferenza occlusale. Infatti lo stato emotivo di un paziente influenza entrambe le attività parafunzionali, da sveglio e durante il sonno; le interferenze occlusali sembrano attivare solo quelle da sveglio (20).

Per quanto riguarda la personalità, di solito i bruxisti differiscono dai soggetti di controllo per la presenza di maggiori livelli di ostilità (22), depressione e sensibilità allo stress (19,23). I bambini bruxisti sono apparentemente più ansiosi dei non bruxisti (24), mentre i cinquantenni bruxisti solitamente sono single e hanno livelli di istruzione superiori (25).

FATTORI PATAFISIOLOGICI

Studi condotti nei laboratori del sonno hanno dimostrato che il bruxismo durante il sonno è parte di una risposta di attivazione (arousal response) del sistema nervoso centrale (SNC), insieme ad altre manifestazioni, quali movimenti corporei, alterazioni della frequenza respiratoria e cardiaca, onde K e a nell’elettroencefalogramma (EEG) (5). Nello specifico, i bruxisti presentano un numero superiore di episodi di piccoli movimenti corporei di piccola durata (inferiore ai 5 secondi). In uno studio di Bader et al. (26) la differenza nei movimenti corporei tra i bruxisti e i soggetti di controllo diventava significativa soprattutto dopo la quarta ora di sonno. Questi piccoli movimenti erano contrazioni, balzi o altri movimenti bruschi e improvvisi delle estremità, privi però della periodicità riscontrata nei movimenti degli arti durante il sonno.

Il bruxismo, soprattutto nella forma del digrignamento, è classificato dall’ICSD (International Classification of Sleep Disorders) all’interno dei disordini del sonno, nel gruppo delle parasonnie. Di solito si verifica negli stadi del sonno non – REM, soprattutto nel secondo stadio e nei passaggi tra uno stadio e l’altro. Esso può comunque manifestarsi durante il sonno REM e, in questi casi, è associato più frequentemente a dolore facciale e dentale (6).

Il bruxismo durante il sonno si verifica raramente da solo. Diversi studi lo hanno associato a Obstructive Sleep Apnea Syndrome (OSAS), una parasonnia caratterizzata da apnee durante il sonno, sonnolenza diurna e sonno non ristoratore. Il legame tra OSAS e problemi respiratori nei disordini del sonno è stato anch’esso correlato a un’arousal response. L’arousal response può essere legata agli episodi di OSAS, i quali possono determinare ipossiemia e difficoltà respiratorie. La fine dell’evento apneico è spesso accompagnato da una varietà di fenomeni orali come russamento, affanno, borbottamento e digrignamento. Questi pazienti possono presentare anche numerosi risvegli notturni, con conseguente sonnolenza durante il giorno (6).

Lavigne et al. (27) hanno descritto un’associazione tra bruxismo e diagnosi di insonnia, disordini dei movimenti periodici degli arti e restless legs syndrome (sindrome delle gambe senza riposo). In letteratura vengono menzionate associazioni tra bruxismo e altre parasonnie, come il parlare durante il sonno, le allucinazioni ipnagogiche (si verificano immediatamente prima del sonno) e ipnopompiche, comportamenti violenti e dannosi durante il sonno (6). Infine ricordiamo le associazioni tra bruxismo e posizione supina durante il sonno, reflusso gastroesofageo, episodi di diminuzione del pH esofageo e movimenti laringei associati alla deglutizione (28-31).

Numerosi fattori neurochimici, farmaci e sostanze illecite (droghe) sono menzionate in letteratura in relazione al bruxismo. Numerosi studi affermano che gli inibitori selettivi del re-uptake della serotonina hanno un’influenza indiretta sul sistema centrale dopaminergico, che è il sistema che si ipotizza sia coinvolto nella genesi del bruxismo, soprattutto dopo un uso prolungato (13). Numerosi casi clinici avvalorano questa tesi per quanto riguarda l’uso di fluvoxamina, citalopram e venlafaxina (32-34). Altri studi descrivono l’insorgenza di bruxismo severo in relazione all’assunzione di anfetamine, come il metilfenidato, illecitamente o per il trattamento di particolari patologie, come l’attention deficit hyperactivity disorders (sindrome da deficit di attenzione e iperattività) (35,36). Ohayon et al. (6) hanno riscontrato associazioni significative con il consumo giornaliero di tabacco, alcol e caffeina. La quantità è risultata determinante solo per la caffeina (sei o più tazze di caffè al giorno).

Negli ultimi anni sta prendendo sempre più piede l’idea di un bruxismo geneticamente determinato, nonostante lo specifico meccanismo di trasmissione sia ancora sconosciuto. Infatti il bruxismo sembra avere un background genetico comune con il parlare durante il sonno e altre parasonnie (37,38).

Infine ricordiamo che numerose patologie, di natura soprattutto psichiatrica e neurologica, e traumi sono stati considerati in relazione al bruxismo: infarto dei gangli basali, paralisi cerebrale, sindrome di Down, epilessia, malattia di Huntington, malattia di Leigh, setticemia meningococcica, atrofia multipla sistemica, morbo di Parkinson, disordini da stress post-traumatici e sindrome di Rett (13). Per quanto riguarda i disordini psichiatrici, Ohayon et al. (6) hanno riscontrato la presenza di associazioni tra il Diagnostic and statistical manual of mental disorders (DSM-IV) e il bruxismo, soprattutto per quanto riguarda stato d’animo, ansietà, fenomeni allucinatori, disordini bipolari, depressione e adjustment disorders (sindrome da adattamento). Numerosi pazienti con bruxismo presentano inoltre allucinazioni gustative, che sono state associate alle leghe utilizzate per diverse procedure dentali e che possono indurre un sapore metallico nei pazienti con digrignamento, a prescindere dal tipo di lega utilizzata.

1.3 Eziologia cervicale del bruxismo

I bruxisti severi possono presentare un aumento degli input nocicettivi verso il sistema trigeminale. Si è scoperto che il sistema trigeminale si connette con la materia grigia del midollo cervicale superiore (C1 e C2) e sembra essere molto ampio, in termini sia di attività sensitiva che di attività motoria riflessa. Questa continuazione della materia grigia del tratto spinale del nervo trigemino, insieme con le corna dorsali dei tre segmenti cervicali superiori del midollo spinale, viene definita nucleo trigeminocervicale. Quindi il nucleo trigeminocervicale è il nucleo nocicettivo essenziale della porzione superiore del collo, della testa e della gola. A prescindere dalla reale innervazione delle strutture di questa regione, gli stimoli nocicettivi che partono da queste strutture sono mediati da questo nucleo. Le disfunzioni muscolo-articolari del rachide cervicale superiore, come le sublussazioni, causano un’attività afferente patologica diretta verso il nucleo trigemino- cervicale, che può colpire i muscoli masseteri e temporali, causando bruxismo, o i riflessi tonici del collo, causando torsione pelvica e asimmetria nell’allineamento della lunghezza delle gambe in posizione supina (10).

2. Segni e sintomi di bruxismo

Nella maggior parte dei casi, segni e sintomi del bruxismo non sono molto evidenti e presentano molte similitudini con quelli esibiti dai pazienti con problemi parodontali o articolari. A volte, invece, essi sono talmente tipici da permettere di porre una diagnosi immediata con molta facilità.

2.1 Usura dentaria

L’usura dentaria è un riscontro estremamente comune e può variare da piccole aree lucenti della superficie dello smalto, note come faccette da abrasione, al cedimento esteso della struttura del dente. Non sono interessati solo i denti naturali, bensì anche i restauri, come otturazioni, corone, protesi parziali fisse e protesi mobili (2). In letteratura, tra le numerose cause di usura dentaria viene menzionato anche il bruxismo. In realtà la questione è ancora del tutto irrisolta, in quanto alcuni autori hanno riscontrato un’associazione statisticamente significativa tra bruxismo e faccette da abrasione (39,40), altri no (41). In uno studio di Pergamalian et al. (41) le faccette da usura erano correlate con l’età, ma non con il bruxismo. Inoltre il bruxismo non sembrava accelerare l’usura dentaria né peggiorare o causare disordini cranio-cervico-mandibolari (DCCM). Bisogna infatti ricordare che l’usura dentaria dipende sia da fattori intrinseci (come differenze nello spessore e nella durezza dello smalto) sia da fattori estrinseci (tipo di cibo masticato). Alcuni autori, come Vélez et al. (42), assumono posizioni intermedie, affermando che il bruxismo può causare faccette da usura più intense rispetto a quelle presenti nei soggetti non bruxisti.

2.2 Fratture impreviste di denti o di protesi

Nel bruxismo eccentrico possono verificarsi fratture sia in denti intatti che in denti indeboliti dalla presenza di grosse otturazioni (per esempio le mesio-occlusodistali). Come noto, si fratturano con più facilità i denti devitali. Anche elementi di protesi, soprattutto le corone in porcellana, possono rompersi. Ciò si verifica tanto più facilmente quanto minore è stata l’attenzione prestata all’adattamento occlusale dell’elemento protesico all’atto della sua inserzione in bocca (20).

Negli ultimi anni un numero crescente di ricercatori sta concentrando l’attenzione sul bruxismo quale potenziale fattore di rischio per il fallimento implantare, dato che la principale causa di detto fallimento è rappresentata dal sovraccarico implantare e che durante il bruxismo si sviluppano forze molto superiori a quelle normalmente presenti durante la masticazione (43).

2.3 Aumento della mobilità dei denti

Il bruxismo può determinare l’aumento della mobilità dei denti anche in assenza di lesioni parodontali. In caso di parafunzione durante il sonno, la mobilità dei denti è maggiore al mattino che durante il giorno. All’esame radiografico possiamo notare eventualmente un aumento dello spazio parodontale con forma a clessidra. Inoltre questi denti tendono ad avere un’ipersensibilità termica soprattutto al freddo e, nei casi gravi, si può arrivare anche alla necrosi pulpare (9,20).

2.4 Disordini

CRANIO – CERVICO – MANDIBOLARI

Il bruxismo può, secondo alcuni autori, innescare o peggiorare la sintomatologia tipica dei DCCM in tutte le sue forme (articolari, muscolari e miste), mentre secondo altri no (41).

A livello muscolare, nei soggetti bruxisti è possibile notare un ipertono generalizzato della muscolatura masticatoria con conseguente resistenza a qualsiasi manovra manipolativa. Questo ipertono può riflettersi eventualmente anche sulla muscolatura cervicale. Spesso si evidenzia un’ipertrofia mono o bilaterale dei masseteri e/o dei temporali (20).

Per quanto riguarda le forme articolari, il bruxismo può peggiorare un DCCM già presente mediante l’aumento della pressione intrarticolare. Se l’ATM è intatta, è possibile riscontrare un rumore articolare tipico della II Classe di Bell. Sulle radiografie di molti bruxisti è possibile notare appiattimenti sia del condilo sia della fossa articolare nella direzione in cui viene esercitata la forza durante la parafunzione. Può accadere che le usure articolari siano più evidenti rispetto a quelle dentali (20).

2.5 Cervicalgia e cefalea muscolo-tensiva

A mandibola stabilizzata, i muscoli elevatori della mandibola svolgono anche la funzione di flessori del capo e, in condizioni di equilibrio, i muscoli cervicali, sviluppando un’azione estensoria, preservano e sostengono la posizione del capo. Condizioni di disequilibrio mandibolare e contemporanea iperattività dei muscoli masticatori elevatori della mandibola, sviluppata in corso di serramento parafunzionale, costringono probabilmente a un sovraccarico non equilibrato ed eccessivo anche i muscoli del collo e, oltrepassata la soglia di adattamento, causano lo sviluppo di disfunzione cervicale con dolore (42).

È possibile ipotizzare un rapporto causa-effetto tra cefalea, dolore facciale, cervicalgia e bruxismo soprattutto se i dolori tendono per esempio essere più accentuati la mattina al risveglio rispetto al resto della giornata (associazione con digrignamento notturno) (2,44).

2.6 Alterazioni

DELLA POSTURA DELLA TESTA E DEL RACHIDE CERVICALE

Il sistema masticatorio, il collo e le spalle sono connessi sia anatomicamente sia fisiologicamente. Il bruxismo può colpire tutte queste regioni, determinando un’alterazione della postura della testa e dell’omeostasi del sistema cranio-cervicale. La postura della testa può essere dovuta a fattori scheletrici o a fattori occlusali. Durante la dentizione primaria, l’occlusione dentaria cambia, determinando eventualmente modificazioni nella postura del capo. Se però le dimensioni delle arcate dentarie rimangono stabili e la postura del capo si modifica, bisogna sospettare altre cause, come il bruxismo. I bruxisti presentano una postura della testa più anteriore e inferiore rispetto ai non bruxisti, mentre il collo tende a essere cifotico: ne consegue un’iperflessione della testa. Questa postura della testa induce ipertono dei muscoli masticatori e cervicali (42).

2.7 Esostosi mascellari e mandibolari

Il digrignamento, in presenza di un fattore osseo positivo (e quindi di osso molto resistente), può creare esostosi nelle ossa mascellari. Queste esostosi rappresentano una reazione di difesa del tessuto osseo contro le notevoli forze cui viene sottoposto (20,45).

2.8 Rumori

A volte i pazienti bruxisti, durante il digrignamento, producono un rumore tipico che può anche infastidire il compagno di stanza. Tale rumore è dovuto allo sfregamento dei denti fra loro. Durante il serramento il rumore è invece assente. I rumori si manifestano per lo più nei bambini (20).

3. Terapia

Il trattamento del bruxismo, e più in generale di tutte le attività parafunzionali, deve essere volto all’eliminazione del fattore eziologico principale coinvolto nella genesi del bruxismo stesso. Inoltre deve mirare alla prevenzione del peggioramento della salute orale, obiettivo ottenuto principalmente mediante l’utilizzo di dispositivi interocclusali.

In linea generale possiamo suddividere le metodiche di trattamento del bruxismo in due grandi categorie, di seguito descritte.

  • Terapia occlusale: la terapia occlusale consiste in qualsiasi trattamento atto a correggere l’alterazione della posizione mandibolare e/o i contatti occlusali dei denti (20), e viene attuata direttamente dall’odontoiatra. Essa può essere suddivisa in: – reversibile (dispositivi interocclusali): cambia solo temporaneamente la situazione occlusale di un paziente e viene effettuata nel modo migliore tramite una placca in acrilico; – irreversibile (molaggio selettivo, ortodonzia, protesi): consiste nella modificazione permanente delle superfici occlusali dei denti.
  • Terapia non occlusale: non viene attuata necessariamente mediante l’esclusivo lavoro dell’odontoiatra, bensì con l’aiuto di altre figure mediche e paramediche (psicologo, psichiatra, fisioterapista).

    3.1 Terapia occlusale reversibile

    Per quanto riguarda il bruxismo, gli splint interocclusali possono agire in due modi: proteggere i denti dall’usura e ridurre l’attività parafunzionale. Tutti gli autori sono concordi sul primo punto, mentre presentano pareri discordanti riguardo alla riduzione dell’attività parafunzionale.

    In uno studio di Greene e Laskin (46) viene ricordato che gli splint possono modificare la percezione degli stimoli tattili orali, ridurre lo spazio libero per la lingua e rendere il paziente conscio delle posizioni e degli “utilizzi scorretti” della mandibola. Ciò può indurre il paziente a ridurre o a terminare la parafunzione. Numerosi autori ribadiscono l’effettiva capacità delle placche occlusali nel ridurre le parafunzioni (47), anche se in diversi studi è stato notato che la riduzione della parafunzione si ha solo nel primo periodo dell’applicazione dello splint, per poi ripresentarsi a causa del fenomeno dell’adattamento, dovuto al fatto che l’attività muscolare del bruxismo è controllata centralmente (20). In uno studio di Harada et al. (48) è stato dimostrato che sia le placche di stabilizzazione sia le placche palatali riducono l’attività elettromiografica del massetere durante il sonno, immediatamente dopo l’inserzione della placca. Purtroppo questo effetto svanisce ai controlli a due, quattro e sei settimane di distanza. Per evitare il fenomeno dell’adattamento si è proposto di utilizzare due placche diverse (una superiore e una inferiore) alternativamente, una settimana la placca superiore e una settimana quella inferiore. Anche le placche palatali (che non interferiscono con l’occlusione) riducono il bruxismo per lo spostamento inferiore della lingua e per l’aumento relativo dello spazio interocclusale (20).

    Altri studi hanno invece dimostrato l’incapacità delle placche occlusali nel ridurre l’attività parafunzionale e ribadiscono che l’unica loro azione è la protezione dei denti dall’usura. Uno studio di Holmgren et al. (49) afferma che nel 61% dei pazienti era possibile notare sulle placche delle faccette da abrasione a ogni controllo (ogni due setti- mane), mentre nel 39% le faccette d’usura si presentavano più sporadicamente. L’estensione delle faccette mostrava inoltre che, durante il bruxismo eccentrico, la mandibola si muove lateralmente, oltre alla posizione di testa a testa dei canini. Un altro studio di van der Zaag et al. (50) ha valutato due gruppi di pazienti bruxisti che utilizzavano una placca di stabilizzazione o una placca palatale. In entrambi i gruppi, dopo una rivalutazione a quattro settimane dall’inserimento delle placche, non si è notato una riduzione nella frequenza e/o nella durata del bruxismo, quindi l’unica funzione delle placche è stata la protezione dei denti dall’usura.

    3.2 Terapia occlusale irreversibile

    Alla terapia occlusale irreversibile appartengono diversi tipi di trattamento:

    • molaggio selettivo;
    • ortodonzia;
    • protesi;
    • trattamenti

    MOLAGGIO SELETTIVO

    In caso di presenza di interferenze occlusali, associate a dentatura naturale senza malocclusioni o a protesi ben eseguite, si opterà per il molaggio selettivo (o equilibratura occlusale). Gli scopi del molaggio selettivo sono principalmente due:

    • ridurre lo stress a cui è sottoposta la dentatura in chiusura e durante la funzione;
    • cercare di far coincidere la posizione di intercuspidazione massima (PIM) con la relazione centrica (RC) (45).

    Roth (51) affermava la necessità di far coincidere la PIM con la RC anche alla fine di un trattamento ortodontico.

ORTODONZIA

In pazienti con un buon patrimonio dentario, in presenza di malocclusione è più indicato un trattamento ortodontico. Infatti ogni malocclusione è di solito associata alla presenza di interferenze occlusali, le quali sono capaci – secondo gli “occlusionisti” (2) – di innescare il bruxismo. Negli anni Settanta Roth (51) ricordava che nella maggioranza dei casi il bruxismo, benché associato a tensione o stress, è scatenato da interferenze occlusali, in uno schema occlusale che permetta ai denti posteriori di strofinarsi gli uni contro gli altri. L’eliminazione di questi “contatti di strofinamento”, sempre secondo l’autore, con un elevato grado di accuratezza è capace di arrestare il bruxismo e l’usura occlusale.

Per ottenere, alla fine di un trattamento ortodontico, un’occlusione priva di interferenze, secondo Roth (51) bisogna raggiungere:

  • le sei chiavi di Andrews: permettono di ottenere un’occlusione ideale dal punto di vista statico;
  • uno schema occlusale con mutua protezione: permette di ottenere un’occlusione funzionale ideale priva di interferenze in tutte le escursioni mandibolari. Se con il solo trattamento ortodontico non si riesce a soddisfare i due requisiti precedenti, Roth (51) suggeriva di finalizzare il caso con il molaggio selettivo, da eseguirsi necessariamente a fine crescita, in modo da eliminare tutte le interferenze presenti, ritenute responsabili non solo del bruxismo, ma anche dei movimenti dentari post-trattamento ortodontico (recidiva).

PROTESI

Nel caso in cui il paziente presenti numerose lacune edentule, con conseguente disarmonia occlusale notevole, si consiglia l’esecuzione di un trattamento protesico. In questi casi bisognerà perfezionare al massimo la PIM (cercando di farla coincidere con la RC) e le escursioni laterali, sia con il rimontaggio dei denti (in caso di protesi rimovibili), sia con il molaggio selettivo finale delle protesi fisse tradizionali prima della cementazione. Si consiglia di conferire un contatto cuspidefossa con libertà in centrica (20).

3.3 Terapia non occlusale

Appartengono alla terapia non occlusale quei trattamenti (non occlusali) volti a rendere il paziente conscio della propria parafunzione, le pratiche di rilassamento, di riduzione e controllo dello stress, i trattamenti fisioterapici, psichici/psichiatrici e farmacologici.

AUTOCOSCIENZA

Il principio alla base dell’autocoscienza (2,3,52) è che i pazienti devono essere consapevoli della presenza della parafunzione prima di poterla controllare ed eliminare. Quindi rientrano in questa categoria:

  • informazione, motivazione e autocontrollo;
  • feedback, bio-feedback e automonitoraggio;
  • avversione, pratica concentrata e comportamenti sostitutivi.
  • Informazione, motivazione e autocontrollo. Queste misure sono senza dubbio fondamentali e rivestono un’importanza tale da condizionare spesso il successo terapeutico. L’informazione al paziente è un dovere del medico e, affinché risulti benefica, è basilare un rapporto di fiducia con il medico stesso. Spesso, infatti, il paziente diventa ansioso perché non riesce a comprendere la causa del suo problema o di che tipo di problema si tratti. È un grave errore, inoltre, fare del terrorismo psicologico, prospettando al paziente ipotesi funeste, in quanto sarebbe solo controproducente. L’informazione è necessaria soprattutto quando è presente una parafunzione, in quanto i pazienti non sempre ne sono coscienti. L’informazione rappresenta dunque la prima fase imprescindibile nel processo di presa di coscienza del problema. La seconda fase obbligata è rappresentata dalla motivazione. Bisogna infatti motivare il paziente al fine di indurlo a terminare la parafunzione ogni qual volta egli se ne renda conto (autocontrollo). La motivazione quindi è efficace soprattutto quando la parafunzione avviene mentre si è svegli.
  • Feedback, bio-feedback e auto-monitoraggio. Molto spesso i pazienti riferiscono la loro incapacità a rendersi conto della parafunzione. In questi casi è necessario instaurare un programma di lavoro che preveda la produzione di segnali studiati individualmente e ripetuti nel corso della giornata. In questo modo si può elevare la consapevolezza della parafunzione e il paziente può controllarsi e correggersi (autocontrollo) rilassando consciamente i muscoli elevatori. Questa pratica prende il nome di feedback e consiste in qualsiasi segnale visivo o acustico che si ripeta spesso durante la giornata (etichette sui muri, squillo del telefono ecc.). Quando questi segnali, divenuti abituali, non sortiscono più l’effetto desiderato devono essere cambiati.

In odontoiatria si utilizza per lo più il bio-feedback elettromiografico, per rendere il paziente consapevole della propria tensione muscolare relativa ai muscoli masseteri, temporali e mimici. Gli apparecchi utilizzati sono elettromiografi a uno o più canali, che captano il segnale muscolare (depolarizzazione da reclutamento di unità motorie) e lo trasformano in uno stimolo visivo o acustico di corrispondente intensità. Il paziente, una volta riconosciuto il segnale, provvederà a terminare la parafunzione e ad attuare il programma di rilassamento muscolare prescritto dal terapeuta.

Il paziente, inoltre, può compilare un diario della parafunzione (automonitoraggio) con l’obiettivo di registrare la frequenza della parafunzione, nonché di identificare le situazioni che la inducono e i rinforzi che supportano tale comportamento sbagliato. In questo modo ci si può anche rendere conto a distanza di tempo dei miglioramenti ottenuti.

  • Avversione, pratica concentrata e comportamenti Anche queste tecniche hanno come obiettivo l’aumento della consapevolezza della parafunzione, allo scopo di ottenerne l’eliminazione. Il fine della terapia di avversione consiste nel rendere spiacevole l’abitudine viziata. In alcuni studi, i pazienti si spruzzavano dell’acido citrico nel cavo orale dopo essersi scoperti nell’atto di serrare i denti. Nella pratica concentrata, ai pazienti viene chiesto di serrare al massimo i denti per brevi periodi (da 5 a 60 secondi) o di esercitare la parafunzione davanti a uno specchio. La chiave è nella ripetizione dell’azione. In alcuni studi è riportata una percentuale di eliminazione della parafunzione del 75% nei pazienti trattati. I comportamenti sostitutivi prevedono la sostituzione della parafunzione con un’altra abitudine, come masticare il chewing gum o mantenere i denti discostati. Va detto, però, che mancano studi decisivi che confermino la reale efficacia di questi metodi.RILASSAMENTO GENERALE, RIDUZIONE E CONTROLLO DELLO STRESSUn approccio terapeutico che miri esclusivamente all’utilizzo di una placca occlusale è talvolta destinato a insuccesso per il perpetuarsi di condizioni basali non favorevoli, tra cui l’ansia e lo stress. Infatti i pazienti bruxisti presentano spesso una tensione muscolare generalizzata, ritenuta conseguenza dell’ansia e di un tipo di vita stressante. In questi casi l’obiettivo di trattamento consiste nell’aiutare il paziente a raggiungere uno stato di rilassamento generale e di riduzione e controllo dello stress. Il paziente la cui anamnesi riveli uno stile di vita stressante deve essere incoraggiato a identificare i problemi più gravi e a compiere ogni sforzo per modificarli. Al paziente verranno quindi consigliate tecniche che mirino a ottenere il miglior stato di rilassamento generale a livello centrale e/o periferico, mediante un coinvolgimento attivo della sua sfera intellettiva e conoscitiva e il controllo di fattori stressogeni che inevitabilmente si ripresenteranno nel corso della vita (2,52).Tra i programmi consigliati ricordiamo gli esercizi specifici per il rilassamento locale mandibolare secondo Jacobson, lo yoga e il training autogeno.FISIOTERAPIAIn presenza di bruxismo è possibile prescrivere al paziente esercizi semplici e rapidi volti alla risoluzione dell’ipertono muscolare presente. Questi esercizi consistono principalmente nell’affaticamento degli elevatori e nel rilassamento riflesso degli elevatori (52).Knutson (10), tenendo conto dell’esistenza del nucleo trigeminocervicale e della conseguente probabile eziologia cervicale del bruxismo, propone anche manipolazioni del rachide cervicale come terapia per il bruxismo stesso.
    • Affaticamento degli elevatori. Per affaticare gli elevatori è possibile far stringere per qualche minuto i denti su dei rulli di cotone. Si consiglia di effettuare questo esercizio alla sera prima di andare a dormire.
    • Rilassamento riflesso degli elevatori. Consiste nell’eseguire un esercizio contro-resistenza contro l’apertura della bocca. Questo esercizio provoca un’attività isometrica dei muscoli abbassatori (capo inferiore dello pterigoideo esterno e muscoli sovraioidei), che si affaticano. Per un meccanismo riflesso, i muscoli antagonisti, ovvero gli elevatori, si rilassano. Questo esercizio deve essere ripetuto tre volte al giorno. Ogni serie di esercizi prevede l’esecuzione dell’esercizio vero e proprio 10 volte per la durata di 10 secondi, con piccoli intervalli.

    TRATTAMENTO FARMACOLOGICO

    Uno studio canadese (53) suggerisce che alcuni farmaci potrebbero essere utilizzati nei casi acuti di bruxismo durante il sonno, soprattutto in quelli con dolore. In questo senso sono stati condotti numerosi studi sperimentali per investigare i metodi farmacologici per ridurre il bruxismo durante il sonno; l’uso regolare di farmaci è però molto ristretto in quanto molti di questi inducono sonnolenza (benzodiazepine e antidepressivi triciclici), dipendenza (benzodiazepine) o ipotensione (clonidina). I farmaci principalmente usati sono stati: amitriptilina (54,55), bromocriptina (56), clonazepam (57), clonidina e propanololo (58), L-dopa (59), triptofano (60), pergolide in associazione al domperidone (61).

    Nella maggior parte dei casi si tratta di agonisti dei recettori della dopamina. Winocur et al. (62) ricordano comunque che l’effetto dei farmaci attivi sul sistema dopaminergico non è del tutto chiaro, pertanto sono necessari studi più approfonditi per decretare la reale efficacia dei farmaci sul bruxismo.

    4. Correlazioni tra bruxismo e fallimento implantare

    Il bruxismo severo modifica le normali forze masticatorie per quanto riguarda sia la magnitudine (carico masticatorio maggiore), sia la durata (ore invece di minuti), sia la direzione (laterale invece di verticale), sia il tipo (sfregamento invece di compressione). Come conseguenza dell’aumento dello stress scaricato sul sistema implantoprotesico si può avere: perdita di osso crestale, frattura dell’impianto o della protesi sovrastante, perdita dell’abutment. Per questo motivo il bruxismo è fattore cruciale da valutare prima di iniziare un trattamento implantoprotesico. Questo non significa che in un paziente bruxista non sia possibile inserire gli impianti, quanto piuttosto che in questi pazienti il piano di trattamento debba essere modificato al fine di minimizzare gli effetti negativi su osso, impianto e protesi (63).

    Alcuni autori, come Jacobs e De Laat (64), affermano però che in realtà non è ancora possibile stabilire una relazione diretta causale tra bruxismo e fallimento implantare. Ciononostante, oltre Misch (63), anche Engel e Weber (65) e Lobbezoo et al. (66) raccomandano di procedere attentamente nello stilare il piano di trattamento. Infatti un attento esame clinico obiettivo e un corretto piano di trattamento (che includa per esempio la valutazione di fattori quali localizzazione e dimensione degli impianti) può ridurre significativamente il rischio di fallimento (67). Tosun et al. (68) consigliano di eseguire anche un’analisi polisomnografica prima di iniziare il trattamento.

    5. Conclusioni

    L’attività parafunzionale più diffusa nella popolazione è il bruxismo. Esso si verifica frequentemente durante il sonno sotto forma di digrignamento o di serramento, ma i pazienti affetti non sempre ne sono coscienti. Spesso sono i familiari che dormono nella stessa stanza a riferirlo.

    Nonostante ancora oggi numerosi autori sostengano l’ipotesi che il bruxismo sia indotto dalla presenza di alterazioni periferiche (fondamentalmente precontatti e iperbilanciamenti), in realtà questa parafunzione, peraltro estremamente diffusa nella popolazione, è parte di una risposta di attivazione (arousal response) del SNC, insieme ad altre manifestazioni quali movimenti corporei e alterazioni della frequenza respiratoria e cardiaca.

    Nella maggior parte dei casi, segni e sintomi del bruxismo non sono molto evidenti e presentano molte similitudini con quelli esibiti dai pazienti con problemi parodontali o articolari. A volte, invece, essi sono talmente tipici da permettere di porre una diagnosi immediata con molta facilità.

    A oggi, purtroppo, non esiste ancora una terapia che abbia la capacità di eliminare definitivamente il bruxismo, sia da svegli sia durante il sonno. Quindi la nostra terapia sarà volta semplicemente al mantenimento della salute orale e alla prevenzione del suo peggioramento. Dunque, la terapia elettiva in caso di bruxismo è rappresentata senza ombra di dubbio dalle placche occlusali, data la sostanziale assenza di effetti collaterali; al contrario, vista l’assoluta mancanza di dati scientificamente supportati, la terapia occlusale definitiva in pazienti bruxisti è vivamente sconsigliata.

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Fonte: Clinica e Ricerca

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